Guarracinismi tra antico e odierno

SQUALO – [dal lat. squalus, per indicare “il nome di vari pesci cartilaginei a corpo tipicamente fusiforme, con fenditure branchiali ai lati, di solito predatori, con bocca arcuata, generalmente ventrale e munita per lo più di numerosi denti aguzzi”]  –

Protagonisti  del gran movimento nell’universo acqueo d’oggidì, assieme alle Sardine (o sardelle, che dir si voglia: una celebre “villanella” napoletana del ‘500, riportata in auge negli anni ‘70 dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, ne chiama in causa una, vezzosa e corteggiata da un pesce dal nome suggestivo…), gli Squali, il cui nome lascia indovinare fattezze e attitudini, sociali e  morali, tutt’altro che gradevoli e rassicuranti: più ancora che del Dizionario Treccani, per capirne la qualità occorre fidarsi soprattutto dell’etimologia. Squalo, infatti, deriva dall’accad. Sahu, “essere vorace e immondo, porco”, in senso letterale e figurato (cfr. G.Semeraro, Le origini della cultura europea, vol.II), e da esso discendono il verbo latino squaleo, “essere ricoperto di placche, di scrofulae” e l’aggettivo squalidus, “rozzo, sporco, squallido” (così , in Plauto, Truculentus, 923, e in Terenzio, Eunuchus, 236): da qui ad indicare anche “una fauna di politici rabbiosi, gretti e urticanti”, come efficacemente il mio amico Stefano Santisi, il passo è veramente breve.

 

LEONARDO E IL MONDO DEI PESCI –“Sendo l’ostriga insieme colli al[tri] pesci in casa del pescatore scaricata vicino al mare, priega il ratto che al mare la conduca. Il ratto, fatto disegno di mangiarla, la fa aprire e mordendola, questa li serra la testa e sì lo ferma. Viene la gatta e l’uccide”.

“La rete, che soleva pigliare li pesci, fu presa e portata via dal furor de’ pesci” (dalle Favole)

 

MERRY CHRISTMAS – L’ingegnere britannico Neil Papworth il 3 dicembre 1992 inviò il primo SMS della storia da un computer a un cellulare sulla rete GSM Vodafone: il testo del messaggio era “MERRY CHRISTMAS”. Il primo SMS da cellulare a cellulare invece venne inviato all’inizio del 1993 da uno stagista della Nokia.

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Guarracinismi tra antico e odierno

“QUEST’ATOMO OPACO DEL MALE” – Sono le parole conclusive di uno dei più celebri testi poetici della nostra storia letteraria. Mi riferisco a X Agosto di Giovanni Pascoli (1855-1912), il poeta del “fanciullino” e del “nido” profanato dal Male e dalla violenza della Storia, dal Destino ostile e incomprensibile. Chi non se ne ricorda? “San Lorenzo, Io lo so perché tanto /
di stelle per l’aria tranquilla /arde e cade, perché sì gran pianto /nel concavo cielo sfavilla. //
Ritornava una rondine al tetto: /l’uccisero: cadde tra spini: /ella aveva nel becco un insetto: /la cena dei suoi rondinini. //Ora è là come in croce, che tende / quel verme a quel cielo lontano; /e il suo nido è nell’ombra, che attende,/ che pigola sempre più piano. //Anche un uomo tornava al suo nido:/l’uccisero: disse: Perdono; /e restò negli aperti occhi un grido /portava due bambole in dono…//Ora là, nella casa romita, /lo aspettano, aspettano in vano:/egli immobile, attonito, addita/
le bambole al cielo lontano.//E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/ sereni, infinito, immortale,/ oh! d’un pianto di stelle lo inondi/quest’atomo opaco del Male!”.
Ebbene, una ricerca recente sembra voler sfatare la leggenda della tragica morte dell’”uomo” che, innocente, avrebbe pagato per colpe non sue, come la Scuola ci ha insegnato a pensare. Secondo Maurizio Garuti, in quel fatale 10 agosto 1867 Ruggero Pascoli, padre del Poeta, sarebbe stato assassinato non per invidie e gelosie di paese, ma piuttosto per precise e documentate colpe di natura sessuale. La tesi, ancorché in forma romanzesca, è sostenuta dal Garuti nel suo libro Il segreto della cavallina storna (Minerva, Bologna 2019).

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ANDY WARHOL A NAPOLI

Dal 17 ottobre al 23 febbraio 2020, Andy Warhol (Pittsburgh, 6 agosto 1928 – New York, 22 febbraio 1987) sbarca a Napoli, con una mostra intitolata “La vera essenza di Warhol”, nella Basilica della Pietrasanta, in via dei Tribunali. Le opere esposte sono 150, un vero e proprio excursus attraverso l’arte di Warhol.

Warhol non ha certo bisogno di presentazioni e le sue quotazioni dopo la morte sono salite alle stelle, rendendolo il secondo artista più comprato e venduto al mondo dopo Pablo Picasso.

L’arte di Warhol era una provocazione ostentata. Lo stesso Warhol sosteneva che l’arte dovesse essere consumata come un qualsiasi altro prodotto commerciale. I prodotti di massa sono esempi di democrazia sociale. Io e te beviamo la stessa Coca-Cola che beve il presidente degli Stati Uniti, Johnny Depp o chiunque altro ti venga in mente.

Esempi di come Warhol abbia trasferito questo concetto arguto nelle proprie opere sono Campbell’s Soup Cans, realizzata nel 1962, e 3 Coke Bottles.

Warhol rivisitò anche opere del passato, come l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci ed opere di Piero della Francesca e Paolo Uccello. Ritrasse inoltre molti VIP dell’epoca, che si misero in fila per avere il proprio ritratto.

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L’ARTE COME CURA (NON SOLO) DELL’ANIMA – A Firenze l’arte diventa cura per i bambini -L’arte abbinata alle cure mediche pediatriche. E’ quello che si propone di fare il progetto “Special Guest – Kids”, realizzato grazie a un accordo siglato dal direttore generale dell’ospedale pediatrico Meyer e dal direttore degli Uffizi Eike Shmidt. Il progetto, che prevede la possibilità di consentire visite gratis e guidate al Museo, vuole coinvolgere tutti i bambini che soffrono di patologie particolari, che li costringono a passare molto tempo in ospedale e a sottoporsi periodicamente a cure e terapie di vario tipo. Questi bambini vivono una situazione di angoscia e di timore e questo progetto è stato pensato per aiutarli da un punto di vista psicologico, facendo conoscere loro la bellezza e le proprietà curative dell’arte.

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Guarracinismi tra antico e odierno

UBI SOLITUDINEM FACIUNT PACEM APPELLANT“Dove fanno il deserto, lo chiamano pace”, sono le parole di un “barbaro”, di Calcago, il fiero capo de Caledoni, nel De Agricola di Tacito: potrebbe essere più energica la condanna dell’imperialismo romano, la condanna di ogni imperialismo di ieri come di oggi. In nome della legge del più forte, quella stessa dichiarata con disarmante cinismo dal governatore Avito a un capo barbaro, Patienda meliorum imperia (“Bisogna sottomettersi alla volontà dei più forti”, Annales, XIII, 56).

 

UN TEATRO DI DEVASTAZIONE E DI ORRORE – “E dove ci troveremmo mai se le bestie fossero dotate di ragione? La terra tutta diverrebbe un Teatro di devastazione e di orrore”. È la conclusione drammatica e inquietante del Dialogo filosofico sopra un moderno libro del 1812, dove il giovane Leopardi paventa e ipotizza, nella forma dialogica che è propria alla sua ricerca e interrogazione non soltanto di quegli anni, i guasti di un mondo capovolto, il sopravvento del selvaggio sul civile, la messa in crisi e l’annullamento delle differenze nella scala biologica.

Tra il letterato “sapiente” e il giovane signore, “dotato di spirito ma guasto nel cuore”, non c’è contesa: la vittoria è scontata, “debolissima” essendo la causa e la posizione del “giovane gentiluomo” in cui non è difficile scorgere Giacomo con la sua giovanile presunzione di filosofo in erba, tentato da idee deiste e libertine ma pronto anche a una franca ricusazione.

Così, sotto il segno delle “bestie”, paventate come detentrici di ragione, il giovanissimo scrittore appena quattordicenne disegna uno scenario di angosce e paure, sostanziate di profondi pregiudizi che non sanno pensare l’animale se non in termini di differenza e soggezione, di assenza e di sfida, senza alcun elemento di positività.

Utile e funzionale, purché resti confinato in un ruolo di comodo deposito di metafore (c’è tutta la fanciullesca ornitologia leopardiana a dimostrarlo, a partire dalla favola poetica Entro dipinta gabbia, 1810), il mondo animale si tramuta nell’immaginario infantile e adolescenziale in un sistema alternativo carico di pericoli ed enigmi per la stabilità di un patto sociale intimamente insicuro e precario, tanto da rivelarsi nient’affatto immune da vizi e crudeltà e anzi allegoricamente parallelo e intercambiabile all’avventura sociale degli uomini, come dimostra a sufficienza l’insistita attenzione riservata dal giovane traduttore verso lo pseudomerico poemetto giocoso Batracomiomachia (“La guerra dei topi contro le rane”). Centauri e lamie, strigi e cinocefali e poi fenici e linci e “mille altri mostri semiumani” popolano con la loro inquietante e aggressiva presenza il Saggio sopra gli errori polari degli antichi, a riprova di una paura incontrollabile nonostante ogni assunto illuministico e parenetico.

“La terra tutta diverrebbe un teatro di devastazione e di orrore”: come non pensare, di fronte a una tale plumbea e angosciante irredimibilità, al groppo che serra la gola dello scrittore, tanti anni più tardi nel Frammento sul suicidio, laddove, constatata l’impossibilità che immaginazione e illusioni riprendano “vigore, corpo e sostanza, in una vita energica e mobile”, si prospetta la certezza di una fine miserevole, un destino di desolazione e morte (“questo mondo diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto”)?

Teatro di devastazione e di orrore, da un lato, serraglio di disperati e forse anche un deserto: tra i due scenari, inscritti entrambi sotto il segno dell’animale – nella sua prevalenza, nel primo caso; nella sua essenza, nel secondo – leggiamo un lungo itinerario che dice di una sotterranea tormentata elaborazione, capace di ripensarsi integralmente, di capovolgere addirittura le proprie convinzioni.

La paura si è tramutata in desiderio: la diffidenza si è stemperata in auspicio di una necessaria, ancorché impossibile, restaurazione.

Restaurazione, di che? Ma di ciò che l’animale significa in termini di vitalità, di forza di “distrazione, illusione e dimenticanza”, su cui si fonda lo stesso “piano della natura intorno alla vita umana”, disatteso il quale “il mondo va in perdizione”.

È singolare – e meriterebbe un’analisi ben più approfondita – come tutta la prospettiva si sia ormai capovolta nel segno di un ricupero dell’animale a una dimensione pienamente positiva, utopisticamente vagheggiata quanto più concretamente negata e impossibile.

Non meno di quanto risulta capovolto un altro concetto, anche questo delineato e intravisto nel citato Dialogo filosofico sopra un moderno libro del 1812, relativo all’assurda e deprecata eventualità di un progressivo incivilimento dei “bruti” e del loro coalizzarsi e consorziarsi “in società”, ossia l’idea che la società (con tutti necessari distinguo da farsi, così come fa nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, del 1824, sul concetto di “società”) rappresenti il potenziamento e la valorizzazione di ogni sapere e capacità, contro cui Leopardi nel Pensieri indirizzerà i suoi strali più velenosi constatandone l’intrinseca malvagità e concludendo che “il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene e di vili contro i generosi” (I).

Ridurre l’animale a uomo, assoggettarne analogicamente le proprietà per celebrare e condannare l’uomo, sfruttandone indebitamente le rassomiglianze, è ormai l’offesa più feroce e ingiusta per l’animale, quella per cui autorizzarne ogni vendetta e punizione contro gli umani, come difatti avviene nella chiusa del Dialogo della Natura e di un Islandese col sopraggiungere dei due leoni “rifiniti e maceri dall’inedia”, ma soprattutto con il trionfo della religione dell’orrore e dello squilibrio, dell’assenza cioè dell’armonia inscritta nel cosmo come legge e ormai definitivamente “corrotta”.

Attraverso l’animale, insomma, si realizza un progetto di morte, non di vita, nel momento in cui vengono messe in crisi e distrutte le giuste prospettive delle cose per mezzo di una sistematica strategia del sospetto condotta fino alla demonizzazione e maledizione (di quale ordine, di quale “felicità”?).

Divinità impenetrabile ed ostile, la Natura si rivolge alla stirpe che condanna come maledetta: pronta a massacrare a massacrare i suoi figli, è l’unica che non teme il sangue. In questo caso, non uccide l’uomo attraverso i leoni, ma piuttosto uccide uomo e leoni contemporaneamente: uccide per loro tramite l’infamia stessa della loro creazione. È la lucreziana vitai invidia, l’”odio della vita”, intendendo quel vitai come genitivo soggettivo e oggettivo insieme, aperto scontro tra tutto contro tutti, bellum omnium contra omnes, che non risparmia nessuno e niente e lascia dietro soltanto “un superbissimo mausoleo di sabbia”.

Nell’ordine creaturale, Animale e Uomo diventano così due categorie, in cui al primo si addice e compete tutto ciò che al secondo manca: giusto come proclama Amelio, lo “spensierato”,  che nell’operetta Elogio degli uccelli alle alate “creature vocali e musiche” invidia la loro “leggerezza” e “letizia”, oltre che la “vista dall’alto” e l’”immaginativa”, che all’umano ormai sono negate a riprova della sua preclusione all’infinito, della sua impossibilità cioè di attingere ciò che ha perduto o che desidera, ciò che gli manca o ciò cui aspira, per liberarsi dalla “filosofia”, dall’attitudine cioè a tutto soppesare, a riflettere (e a riflettersi), piuttosto che librarsi liberi nel volo, nel canto.

“Forse s’avess’io l’ale…”: dal Canto notturno in poi è nel segno di uno spazio impossibile, lo spazio degli astri infiniti e degli elementi essenziali, che può avvenire per Leopardi il riscatto della distanza della natura, il superamento della povertà dell’”immaginativa” dell’uomo.

Campo di una pura ipoteticità e ottatività, sogno illimitato e inesauribile, liberarsi dalla terra come liberarsi dall’umano, troppo umano, liberarsi dall’infelicità dei pensieri che camminano sui piedi degli uomini.

Solo lo sguardo animale, lo sguardo della selvatichezza e della vigilanza dei sensi così come lo sguardo dall’alto (come quello delle pliniane gru che volant ad prospiciendum alte, “volano alto per guardare lontano”), librato sulle ali dell’assenza di illusioni, oltre l’abisso delle domande senza risposte, solo questo potrà dire il non più e il non ancora del desiderio: potrà dire la poesia e il sogno della felicità nel linguaggio.

 

“LA LETTERATURA NON BASTA” – E’ questa la verità cui perviene lo scrittore antimilitarista Carlo Cassola (Roma, 1917 – Montecarlo, 1987), come è documentato nelle appassionate missive scambiate con l’intellettuale Angelo Gaccione (Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984, a cura di A. Gaccione e F. Migliorati. Introduzione a cura di V. Pardini; con una conversazione con A. Gaccione, Lucca, Tralerighe editore 2017): una lezione di vita cui oggi più che mai, alla luce anche dei recenti avvenimenti di guerra, conviene attingere.

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005. 

Guarracinismi tra antico e odierno

NON DOMANDARCI LA FORMULA CHE MONDI POSSA APRIRTI” (EUGENIO MONTALE, Non domandarci la formula, da Ossi di seppia)

 

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AVETE RUBATO I MIEI SOGNI –  “È tutto sbagliato. Io non dovrei essere qui. Dovrei essere a scuola dall’altra parte dell’oceano. Eppure venite tutti da me per avere speranza? Come osate! Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Ciò nonostante, io sono una delle più fortunate. C’è gente che soffre. C’è gente che sta morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E voi non siete capaci di parlare d’altro che di soldi e di favoleggiare un’eterna crescita economica. Come osate!”

(dal discorso pronunciato da Greta Thunberg il 23 settembre 2019, al vertice sull’azione per il clima delle Nazioni Unite, traduzione di Luis E. Moriones, ©RIPRODUZIONE da LA REPUBBLICA)

 

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IN CHE MILLENNIO SIAMO? – “Appoggio l’auto sul marciapiede. Ti vedo che acquisti chissà cosa, con lentezza e con grazia, come sempre. Poi esci dal negozio e sei sempre come allarmata, non mi vedi. Ti mando un cenno, un sorriso. Ecco, ti sei accorta che ci sono, vieni verso di me, con le mani da scoiattolo. Come un rito. Solo la morte lo interromperà.
Quando ti conobbi ti dissi come avresti dovuto scrivere le tue future poesie. Io, con quella faccia da talebano trentenne, il maglione stretto al collo, tappato nel mio autismo di artista, volevo dire a te come rischiare, per cercare una poesia ulteriore, originale, totalmente tua. Con la mia infantile superbia di allora, volevo modellare, con te, una anomala Bellezza, un nostro sogno a quattro mani. Ora lo so (allora non potevo) quel sogno ha generato libri, carezze, chiacchiericci notturni. Tu, dopo aver letto Pasternàk, una volta sorridesti scivolando nel letto. La faccia verso di me, bisbigliavi (ricordo): «In che millennio siamo?» (MARCO ERCOLANI, da “Le mura intorno”, inedito).

 

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UNA FORMULA? – “Il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da se medesimo. – Questo è certamente il più naturale e il più ragionevole” (GIACOMO LEOPARDI, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, 1824)

 

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ORTICOLARIO Undicesima edizione di Orticolario, in programma da venerdì 4 a domenica 6 ottobre, intitolata “Fantasmagoria” ed è dedicata al “Viaggio”, alle bacche e ai piccoli frutti, a Villa Erba di Cernobbio (CO).

Parte l’undicesima edizione di Orticolario 2019 a Villa Erba a Cernobbio, dimora ottocentesca sul Lago di Como, già residenza del regista Luchino Visconti.

Una mostra, fiera, evento per un “giardinaggio evoluto”, che propone “un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Una convivenza tra amore per la natura e passione per il bello come stile di vita”  come dice Moritz Mantero, fondatore e presidente di Orticolario.

Il tema

Ogni anno viene scelto un tema ispiratore che si snoda come un racconto intorno alla natura. Dopo il 2018, dedicato al “Gioco” con il titolo “Si salvia chi può”, il 2019 è dedicato al “Viaggio” e saranno protagonisti le bacche e i piccoli frutti.

Il viaggio

Il tema dell’undicesima edizione viene raccontato da cinque artisti che, con le loro installazioni, trasformeranno i luoghi di Villa Erba in mondi altri, reali e surreali.

Ma cosa unisce il “Viaggio” all’arte? Proprio la capacità di trasportarci, seppur in modi diversi, in luoghi e in momenti lontani dalla nostra quotidianità e di farci riflettere e andare oltre qualsiasi confine, interno ed esterno.

Tra le cinque installazioni che costituiscono questa sezione, ecco quella di un artista “polifacetico”, un “Ulisside dell’arte”, Nicola Salvatore, che riprende un suo tema antico, le “Balene” (“Le balene nel salone”), dai risvolti ancestrali, rivissuto con caratteristica ironia e insieme forza coloristica.
Il lavoro di Nicola Salvatore è una ricerca continua, “viaggia” solcando ed esplorando tutte le possibili esperienze e luoghi dell’arte. “Con ‘Le balene nel salone’ mi ritrovo in una casa, insieme a tante balene che discutono, parlano, gridano tra loro e navigano con me per il mondo”, spiega l’artista.

 

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SUCCEDE  A NAPOLI. Il cibo non consumato sulla nave viene donato alle mense per i più bisognosi

La solidarietà è una bellissima notizia. Dalla città partenopea arriva una novella che racconta l’empatia e l’amore per gli altri. Stiamo parlando di una collaborazione tra Costa e il Banco Alimentare Onlus. Il sodalizio tra i due enti ha stabilito che tutti i pasti non consumati in crociera vengono donati alle mense dei poveri di Napoli.

Ogni lunedì la nave Costa Fascinosa sosta nel porto di Napoli e lascia tutti i pasti preparati in eccedenza ai volontari del banco alimentare. Combattere lo spreco di cibo e aiutare i meno fortunati sono le prerogative poste dalla collaborazione tra i volontari e Costa. Gli operatori della nave, nella sera precedente alla fermata nel porto, sigillano tutti i pasti e etichettano con date di produzione e di consumo.

Stefania Lallai, direttore Sostenibilità e relazioni Esterne di Costa Crociere ha dichiarato: “Napoli diventa il decimo porto di un’esperienza che è arrivata anche oltre i confini italiani. Intercettiamo un valore, il cibo, che prima veniva sprecato. Consideriamo l’ospite a bordo un cittadino a cui chiediamo di mettere nel piatto solo quello che può mangiare. Quindi tutto il cibo preparato ma non servito dagli ospiti va al banco alimentare”.

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Guarracinismi tra antico e odierno

IGNOTO E POESIA – “Nessun’altra cosa attrae il vero poeta quanto l’ignoto” (Victor Korkija)

 

MATERIA STELLARE – “Non sono Poeta / se non per aver detto / anche materia stellare è cannibale / così i ragazzi d’una scuola in Sicilia / decisero che erano parole di Dante / / mentre io ero solamente un artista / paga del loro sovrano errore / da allora vado per il mondo e recito / sono – Poeta” (EVELINA SCHATZ, Patria lingua, ovvero Il Possibile negato, 2018)

 

AL DI LA’ DEL SENSO IMMEDIATO – FRANCESCO RADINO Fotografie 1968-2018 Fondazione Mudima Via Tadino 26, Milano. Francesco Radino è uno dei maestri della fotografia italiana contemporanea. Attivo da cinquant’anni in molti ambiti, dall’indagine sociale alla rappresentazione del paesaggio antropizzato, impegnato nell’elaborazione di un immaginario che parte dalla realtà ma costruisce forme raffinate e variegate stratificazioni visive, è una figura dalla creatività libera che si colloca fuori dagli schemi. Le fotografie di Francesco Radino sono intessute di pensieri e di memoria, di momenti di realtà e di frammenti di vissuto, sono animate da analogie e rimandi formali che affermano continuamente che il mondo è uno solo e la sua complessità non può essere guardata per settori separati. Così, pesci, oggetti industriali, ombre, alberi, fiori, spiagge, resti archeologici, acque, montagne, strade di città, architetture storiche e contemporanee, cieli, pietre, prati, corpi, divengono oggetti di uno sguardo indagatore e poetico, organizzatore e immaginifico. “Il mondo delle forme si libera – scrive – e va al di là del senso immediato”, a legare immagini tra loro diverse c’è “un filo sottile ma forte che parla il linguaggio della vicinanza” ed esse sono “indicatori della realtà ma ci permettono anche di intravvedere la possibilità di una via d’uscita da essa”. Forte di una cultura visiva profonda (il nonno fotografo, il padre e la madre entrambi pittori), frequentatore delle culture orientali, Radino immagina attraverso la fotografia un mondo di figure varie, tutte meritevoli di essere guardate e pensate, in una continua oscillazione dalla natura alla cultura.

 

https://vimeo.com/360841539

 

LUNA IN SOGNO –  “Se tu devi poetando fingere un sogno, dove tu o altri veda un defunto amato, massime poco dopo la sua morte, fa che il sognante si sforzi di mostrargli il dolore che ha provato per la sua disgrazia. Così accade vegliando, che ci tormenta il desiderio di far conoscere all’oggetto amato il nostro dolore; la disperazione di non poterlo; e lo spasimo di non averglielo mostrato abbastanza in vita. Così accade sognando, che quell’oggetto ci par vivo bensì, ma come in uno stato violento; e noi lo consideriamo come sventuratissimo, degno dell’ultima compassione, e oppresso da una somma sventura, cioè la morte; ma noi non lo comprendiamo bene allora, perché non sappiamo accordare la sua morte con la sua presenza. Ma gli parliamo piangendo, con dolore, e la sua vista e il suo colloquio c’intenerisce, e impietosisce, come di persona che soffra, e non sappiamo, se non confusamente, che cosa”.

È in questi termini che alla data del 3 dicembre 1820, in un appunto dal titolo emblematico, “Del fingere poetando un sogno”, Leopardi definisce modalità e funzionamento per raccontare in versi un sogno. Non un sogno qualsiasi, ovviamente, bensì un sogno particolare, specifico, quello di “un defunto amato” col suo carico di emozioni e rimpianti.

Altre volte è l’angoscia, la paura della perdita e della comparsa. Pensiamo allo Spavento notturno del 1819, dove, in forma singolarmente dialogica, questi sentimenti si metaforizzano e fissano in un’immagine potente, emblematica, quella della Luna, in cui si incrostano e incontrano tante cose differenti che si rincorrono attraverso i Canti, a partire principalmente da questo e passando attraverso il Canto notturno e fino al Tramonto della luna del 1836.

 

LO SPAVENTO NOTTURNO

(Frammento XXXVII)

 

Alceta

Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
A la finestra che risponde al prato,
Guardando in alto: ed ecco a l’improvviso
Distaccasi la luna; e mi parea
Che quanto nel cader s’approssimava,
Tanto crescesse al guardo; infin che venne
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Grande quanto una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia, che stridea
Sì forte come quando un carbon vivo
Ne l’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
Si spegneva, annerando, a poco a poco;
E ne fumavan l’erbe intorno intorno.
Allor mirando in ciel, vidi rimaso
Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia,
Ond’ella fosse svelta: in guisa ch’io
N’agghiacciava; e ancor non m’assicuro.

Melisso.

E ben hai che temer, chè agevol cosa
Fora cader la luna in sul tuo campo.

Alceta.

 

Chi sa? non veggiam noi spesso di state
Cader le stelle?

Melisso.

Egli ci ha tante stelle,
Che picciol danno è cader l’una o l’altra
Di loro, e mille rimaner. Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
Cader fu vista mai se non in sogno.

 

Tema del canto, come si vede, è il dialogo che si svolge tra due pastori, Alceta e Melisso: al primo che stupefatto racconta di aver visto in sogno cadere in sogno la luna nel proprio campicello, il secondo obietta con ironica saggezza che si è trattato davvero di un sogno impossibile e che comunque la caduta del satellite lunare sarebbe stato comunque un “picciol danno” trattandosi di una sola tra le innumerevoli “stelle” del cielo.

Fondato su uno spunto autobiografico, segnato nel Supplemento generale a tutte le mie carte del ’19 (“Luna caduta secondo il mio sogno”), l’idillio mette a confronto due personaggi, due età (da un lato, una giovinezza sognatrice e sbigottita; dall’altro, una maturità arguta e razionale), facendo affiorare un intrinseco rimpianto per i sogni della fanciullezza, così dell’individuo come dell’umanità, sulla scena di un mondo su cui domina la Luna con la sua presenza enigmatica, se non ostile.

La grazia agile e fiabesca delle immagini, intrisa di una letterarietà morbida e raffinata, e l’efficacia ingenuamente realistica della descrizione (la luna “grande quanto una secchia” e quasi “carbon vivo”) riscattano questo frammento dal manierismo di moduli stilistici inequivocabilmente debitori della poesia idillico-pastorale, sulla linea che va da Teocrito a Tasso all’Arcadia settecentesca. Ne risulta una testimonianza viva dell’attitudine “sperimentale”  del giovane Leopardi, proiettata in questo caso verso un “miracolo” di rappresentazione oggettiva, facendo parlare un critico-poeta come Riccardo Bacchelli di “poemetto incantevole” dal “garbo librato e alato” (1946). La singolarità della situazione (imparentabile come aveva fatto già Luigi Russo e più recentemente Emilio Peruzzi, 1987, con i giovanili studi astronomici del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi) e la peculiarità del registro onirico mai altrove frequentato dall’autore (se si esclude la cantica dell’Appressamento della morte, il cui autografo è conservato al Museo Giovio di Como) hanno stimolato, tra gli altri, tentativi di lettura psicoanalitica, oltre che vere e proprie “imitazioni”.

Tra i primi, va segnalato il saggio di Giuliano Gramigna (1978), che rileva come nel testo sia presente “il godimento non tanto di vedere cadere la luna dal cielo, ma di sorprenderla dove non è più, nel suo buco, nel suo manque”; per le “imitazioni” vanno citati i racconti teatrali Le esequie della luna e Lunaria, rispettivamente di Lucio Piccolo e Vincenzo Consolo, nei quali lo spunto offerto dal testo dell’idillio si dilata a metafora barocca della vanità della vita e del mondo.

Va infine ricordato un ultimo contributo, quello di Roberto Sanesi (1989), che dopo aver sgombrato il campo da ogni tentazione di lettura suggestiva ed esoterica (“non ha nessuna delle ambiguità della Dea Bianca, della Grande Madre”), vi legge fin dal titolo “per lo meno deviante” il tentativo di “esorcizzare” quello che è uno stato d’animo essenzialmente leopardiano, come si evince fin dalle primissime pagine dello Zibaldone, ossia il concretissimo sentimento della paura: “il vuoto che la luna lascia nel luogo celeste che le appartiene, e che il sogno rivela, non è nel fatto che “non c’è più” (o che era un tutt’altro, risibile, di scarso valore: un tizzone) ma nella cancellazione dei valori di opposizione, di resistenza, che si erano stabiliti quando “c’era”. Confermando in modo indiretto la luna come effettivo simbolo di natura “matrigna”, Leopardi manifesta la sua paura che, inconsciamente, è paura di scomparizione dei motivi che gli consentivano di sopravvivere nella parola, che consentivano di dire”.

 

“AD IMPERITURA NOTTE” – Torino spiritualità, una riflessione sulla fede e il rapporto col divino

Chi l’ha detto che Festival è sinonimo sempre e soltanto di dispersione e futilità?  “Torino Spiritualità”, alla sua XV edizione, è un festival di tutt’altro genere, e per la materia che tratta e per i suoi organizzatori e relatori. Intanto, il tema, “Ad imperitura notte”, ossia la notte e i suoi molteplici significati, e poi per quelli che lo tratteranno, da Enzo Bianchi, a Dario Argento, Luciano Manicardi, da Neri Marcorè ad Ascanio Celestini, a Massimo Recalcati, ai giornalisti Alessandro Zaccuri e Domenico Quirico, nonché, tra gli altri, i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, al teologo Vito Mancuso e alla poetessa Chandra Livia Candiani, che esploreranno il buio come scrigno di miti, narrazioni e sogni, come forziere di fascinazioni e misteri che da sempre seducono il cuore dell’uomo e indagheranno la tematica alla luce della fede, dalla filosofia, dell’etica, dell’arte, a partire dal 26 al 29 settembre.

Il tutto nella convinzione che le espressioni artistiche, la musica, l’arte, la letteratura sono strumenti per comprendere la realtà e illuminare la coscienza, come l’alba colora le tenebre.

Il programma,  è quanto mai ricco e stimolante e comprende, oltre gli interventi delle personalità citate, anche incontri con la monaca induista Svamini Hamsanan, il Monaco cristiano Guidalberto Bormolini e l’esperto di mistica Marco Vannini, nonché con il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che propone un percorso nell’opera del quadro Guernica.

 

Per info: www.torinospiritualita.org

 

PIANETI GEMELLI – Una scoperta emozionante, che ci fa guardare il cielo, la Notte, con altri occhi: un pianeta, al di fuori del Sistema Solare, dalla massa simile a quella della Terra e distante 110 anni luce, e nella cui atmosfera è stato rilevato vapore acqueo, tanto da far ipotizzare che vi potrebbero essere forme di vita. Pubblicata sulla rivista Nature Astronomy, la scoperta è del gruppo dell’University College di Londra, coordinato da Angelos Tsiaras e di cui fa parte l’italiana Giovanna Tinetti. E’ anche la prima volta che viene osservata l’atmosfera su un pianeta che si trova nella cosiddetta ‘zona abitabile’, ossia la zona compatibile con temperature che permettono l’esistenza di acqua allo stato liquido. I ricercatori ne hanno ricostruito le caratteristiche grazie ai dati acquisiti nel 2016 e nel 2017 dal telescopio spaziale Hubble, gestito dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e dalla Nasa.

 

STRANGERS IN THE NIGHT” – “Ho cercato il segreto degli attori, osservando i loro oggetti sul tavolo da trucco, guardandoli negli occhi. Creature sensibili, violini pronti a suonare”, confessa Paola Carmignani, critica teatrale del Giornale di Brescia nel suo illuminante La passione teatrale (La Quadra Editrice, Iseo 2018), in cui tra leggerezza e profondità rivisita in un appassionante racconto critico-biografico la sua vita inseguendo per oltre trent’anni opere e personaggi ormai mitici (da Lilla Brignone, a Rossella Falk e ad Anna Proclemer, da Valeria Moriconi ad Ave Ninchi e a Milva, da Lauretta Masiero a Gianrico Tedeschi, a Giorgio Albertazzi, a Giorgio Gaber con la sua contagiosa e “mite intelligenza”), personaggi che vivono sulle scene della notte come fantasmi, che, pur mettendosi nei panni dei loro personaggi, non possono rinunciare al loro carico di vissuto, al loro “mistero”, come l’Autrice giustamente sottolinea riportando le parole di Francesca Nuti. Incontri, interviste, aneddoti, straordinarie storie che consentono di cogliere umanità altrimenti sconosciute, e che l’autrice sa restituirci con leggerezza e profondità.

 

 

 

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Guarracinismi tra antico e odierno

CALCULUM, “CALCOLO”

 

NELLE TERRE DI PARMENIDE –  “I luoghi del mondo suggeriscono lo stesso sentimento, / quasi un’esigenza potente del fermarsi, respirando l’eternità, / e proprio qui, dicono, l’idea venne concepita, / in questa baia, e difesa dal combattivo argomento / dei filosofi, / l’enigma dell’essere e del niente. // Potrei essere qui come altrove, in alcuni luoghi noti della Cina / o nel parco dei cervi a Sarnath, / dove l’idea superba contraddice l’evidenza.” (CARLO DI LEGGE, Elea, inedito)

 

“SI BENE CALCULUM PONAS, UBIQUE NAUFRAGIUM EST” – Se ci rifletti bene, la vita è tutta un naufragio” , scrive Petronio nel Satyricon (115, 17): una frase che può ben adattarsi a tante situazioni e a molte considerazioni. Il caos, la rovina sembra essere in agguato dappertutto, col vuoto come un rischio concreto: un vuoto in cui volteggiano i mostri dell’ignoranza, dell’indifferenza, dell’egoismo, dell’irresponsabilità.

È da qui che bisogna partire per ricostruire, dal vuoto di sapere (tò sofón) e di sapienza (sofía), verso un riacquisto del proprio spazio. È da questo calculum, da questa coscienza dell’incertezza, è da qui, “dove ciascuno è naufrago”, che si deve aver coraggio di “ritornare”, di guardare in faccia la realtà, la propria “casa”, come dice Giovanna Rosadini in un testo di Fioriture capovolte (“Ricolmata in un solo sguardo, / i sensi all’erta: eccomi – / nel posto che ora è casa”)

 

CAMAIORE POESIA – Si è appena svolta, sabato 14 settembre, la serata finale del XXXI Premio Letterario Camaiore Francesco Belluomini: la vittoria è andata a Giovanna Rosadini con “Fioriture capovolte” (Giulio Einaudi Editore).

A contendersi l’edizione 2019, oltre alla vincitrice, gli altri quattro finalisti individuati dalla Giuria Tecnica del Premio: Daniele Cavicchia – “Il guscio delle cose” (Passigli Editore), Gilberto Isella – “Arepo” (Book Editore), Maurizio Soldini – “Lo spolverio delle meccaniche terrestri” (Il Convivio Editore) e Ida Travi – “Tasàr, animale sotto la neve” (Moretti&Vitali Editori).

La serata, presentata dal giornalista RAI Alberto Severi, è stata impreziosita dalle letture dell’attrice Alessia Innocenti; a fare gli onori di casa, il Sindaco Alessandro Del Dotto, il Consigliere delegato alle manifestazioni letterarie Andrea Boccardo e la Presidente del Premio Rosanna Lupi, alla testa della Giuria Tecnica formata da Corrado Calabrò, Emilio Coco, Vincenzo Guarracino, Paola Lucarini, Renato Minore e Mario Santagostini.

                            Rosanna Lupi, Presidente, assieme alla poetessa Giovanna Rosadini e al Consigliere delegato Andrea Boccardo (sullo sfondo, Emilio Coco).

 

CALCULUM O ETICA? – UN ALTRO MODELLO DI ACCOGLIENZA  

Aperta nel 1969 per i figli dei “Gastarbeiter”, la scuola comprensiva Papa Giovanni XXIII di Stommeln è ancora oggi un punto di riferimento per gli italiani. Soprattutto per i nuovi arrivati.

 

La scuola Papa Giovanni XXIII di Stommeln

Ubicata nell’ex-ospedale “Maria Hilf”, a una ventina di chilometri da Colonia, la Gesamtschule bilingue italo-tedesca è frequentata da 770 alunni, un terzo dei quali di origine italiana. Nata inizialmente come “Scuola media italiana”, su iniziativa della Diocesi di Colonia in collaborazione con l’Ambasciata italiana a Berlino, aveva come scopo quello di garantire un percorso scolastico ai ragazzi che si ricongiungevano ai genitori in Germania. Nel corso degli anni la scuola si è trasformata, aggiungendo gradualmente l’offerta di una qualifica scolastica tedesca, fino ad arrivare all’attuale forma. Punto di forza dell’Istituto Papa Giovanni XXIII rimane ancora oggi l’offerta della lingua italiana a partire dalla quinta fino alla tredicesima classe, ma non solo: per meglio integrare i nuovi alunni giunti da poco dall’Italia è previsto un percorso particolare di sostegno e aiuto. (LUCIANA MELLA)

 

PROFONDO ROSSO –TRA MATERIA OSCURA E CONVERGENZE – MOSTRE di Silva Cavalli Falci e Claudio Granaroli | venerdì 20 settembre | The Art Company Como

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

 

 

Guarracinismi tra antico e odierno

PER UNA DATA: Insidia del volo – “Poi anche la morte è passata. /…/ Sarà soltanto una coincidenza / di voli / o il presagio di un’insidia destinata / a tutti i volti che hanno ali / troppo brevi. / Eppure / spiando con eleganza tra i nomi / c’è qualcuno che insiste, racconta sottovoce / che il confine a cui pensare è una linea / obliqua, la nostalgia impossibile / di un naufragio. // E tutto si interrompe / in questo non sapere / dove esiliare le mani” (Massimo Scrignòli, Lesa maestà, 2005)

 

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UNA “CATASTROFE INAUDITA” – Una riflessione provocata da una data che segna la coscienza di tutti. Una data che ancora provoca paure. L’11 settembre del 2001, appena dietro l’angolo. Ma anche per andare un po’ più indietro, a un incontro mancato, quello che si scrive sull’asse Svevo-Leopardi, su un’analoga apprensione.

Si provi a leggere uno dei brani più significativi e singolari della Coscienza di Zeno, di Italo Svevo, alias Ettore Schmitz, la sua pagina conclusiva, quella dell’allarmata preconizzazione di una “catastrofe inaudita”, ponendola sinotticamente a confronto con i leopardiani Cantico del gallo silvestre o col Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco, o ancora soprattutto col Frammento sul suicidio e si avrà, se non una conferma, almeno il lecito sospetto di quanto tra i due avrebbero potuto essere fecondi e necessari il convegno e l’osmosi, sulla scorta di un comune sentire la vita nel suo insensato destino di desolazione e di perversa volontà omicida di tutti contro tutti, bellum omnium contra omnes, paventati e denunciati con impietoso profetismo con le armi stilistiche di una corrosiva ancorché dolente ironia.

“…Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”: questo è Svevo.

E questo è a specchio Leopardi: “Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi” (Cantico del gallo silvestre), “Ma infiniti mondi nello spazio infinito della eternità, essendo durati più o men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano” “Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di questa nuove creature, distinte in nuovi generi, e nuove specie, e nasceranno per le forze eterne della materia nuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo” (Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco) e soprattutto “Questo mondo diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto” che costituisce la parte centrale del Frammento sul suicidio, in cui riecheggia una giovanile annotazione del Dialogo filosofico sopra un moderno libro del 1812 addirittura (“E dove ci troveremmo mai se le bestie fossero dotate di ragione? La terra tutta diverrebbe un Teatro di devastazione e di orrore”).

Come distinguere l’uno dall’altro, se non facendo agio su un più evidente agonismo nel primo e su una maggiore astrazione e generalizzazione metafisica nel secondo? L’uno e l’altro risultando, comunque, accomunati da una profonda sfiducia e diffidenza nelle possibilità umane di sopravvivere al Male costruito e perseguito “a comun danno”  con tetragona protervia.

 

 

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COMUNICATO STAMPAALESSANDRO SAVELLI COLORE E TEMPO, a cura di Martina Corgnati, Fondazione Umberto Mastroianni Castello di Ladislao Piazza Caduti dell’aria, Arpino (Fr) 14

Alessandro Savelli -Tramonto deserto 2015,
tecnica mista e collage su carta, 151 x 220 cm

settembre– 20 ottobre 2019 inaugurazione sabato 14 settembre.

Da Sabato 14 settembre 2019 alle ore 18,00 a domenica 20 ottobre 2019, presso il Castello di Ladislao di Arpino, sede della Fondazione Umberto Mastroianni, che ospita l’eredità del geniale scultore Umberto Mastroianni e della sua famiglia, apre al pubblico Colore e tempo. La mostra è una personale di Alessandro Savelli, a cura di Martina Corgnati, e presenta un’ampia selezione di lavori realizzati tra il 2015 e il 2018.

Alessandro Savelli è nato a Milano nel 1955 e vive e lavora a Desio. Diplomatosi al Liceo Artistico di Brera nel 1973, esordisce nel ’74 con una personale alla Galleria San Rocco di Seregno e da allora ha esposto in Italia, Svizzera, Giappone, Germania, Stati Uniti, Messico. Laureatosi in Architettura al Politecnico di Milano nel 1979, si è dedicato dal 1983 all’insegnamento dell’arte, prima come docente, poi, dal1990 come preside del Liceo Artistico Papa Ratti di Desio e dal 1992 al 2001 è stato titolare della cattedra di Pittura all’Accademia Aldo Galli di Como. Attualmente è Direttore della Libera Accademia di Pittura Vittorio Viviani di Nova Milanese.

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Guarracinismi tra antico e odierno

“Scrivere significa dare testimonianza”

A proposito dell’ultimo libro di Francesco Belluomini, Nonostante tutto, contenente 10 poemetti dedicati ad Amici Poeti scomparsi, curato da Marco Ciaurro (I delfini Book, 2019)

“Scrivere significa dare testimonianza. La memoria ha un ruolo fondamentale nella vita ed io non mi sono improvvisato poeta e scrittore; piuttosto, sono stato chiamato, come dire, obbligato ad offrire la mia testimonianza, diretta o indiretta. Ad ogni edizione del “Premio di Camaiore” arrivano numerosissime opere da esaminare e spesso e con rammarico mi accorgo della mancanza di idee, dettata purtroppo dalla poca fantasia. Le persone sono invecchiate prima del tempo; al contrario, a me personalmente servirebbe una seconda vita per pubblicare tutto ciò che penso. Oggi mancano le idee! Proprio nel rispetto della memoria, nella mia vita ho realizzato libri dedicati a tanti grandissimi scrittori, per farli rivivere attraverso i ricordi. Riesco a dialogare con loro, come se fossero vivi e questo è straordinario.” (dall’intervista  di Daniela Cecchini, su “Il Corriere del Sud”, febbraio 2016)

 

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Pulcinoelefante, la casa editrice più piccola del mondo

 

All’interno delle anonime mura di una casa situate ad Osnago, nel lecchese, disposte su due livelli con tanto di pollaio retrostante, si nasconde un tesoro di pace intellettuale e di genuina accoglienza, di cui artisti di ogni sorta da poeti a pittori beneficiano, eleggendolo a luogo di vera e propria devozione: è qui, in questo luogo, diventato ben presto mitico, che è nata e prospera il Pulcinoelefante, la casa editrice più piccola del mondo.

Un’esperienza antropologica, più che editoriale”, si schermisce Alberto Casiraghi, classe 1952, un moderno Gutenberg, che da tipografo s’è trasformato in editore e ha dato vita qui nella sua casa a qualcosa di unico, a un’impresa etica (editoria, è parola troppo grossa), fatta di cose antiche (l’inchiostro, i caratteri mobili, un vecchio macchinario anni ’40, la carta, pazienza e tanto, tanto amore per ciò che fa e in cui crede): per creare oggetti di intenso godimento estetico, un’arte alla portata di tutti,  nel segno di una stimolazione della creatività, propria e altrui, attraverso gli incontri con gli autori più diversi, da Allen Ginsberg a Maurizio Cattelan, da Sebastiano Vassalli a Fernanda Pivano, per non dire della grande Alda Merini, l’autentica icona della Casa Editrice.

 

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La vacanza per ricaricarsi, tra monasteri e eremi

 

Telefonini spenti, niente computer, niente Facebook solo silenzio. Le vacanze spirituali sono una vera e propria soluzione per riacquistare energie fisiche e mentali.

Si tratta di itinerari sempre più richiesti da single, coppie, gruppi religiosi e laici. Eremi e monasteri ce ne sono tanti in Campania, negli incantevoli paesaggi dagli Appennini alla costiera sorrentina, dove poter andare a scoprire ‘che l’essenzialità è  la chiave  di lettura della vita per acquistare la serenità’’, afferma  frate ‘guardiano’  Gennaro uno dei tanti padri spirituali  di questi luoghi magici.

Tra i posti più ‘gettonati’ in Campania sono da segnalare: a  Piedimonte Matese (Caserta) sul monte Muto, il monastero Santa Maria Occorrevole che dal 1981 è sede di Noviziato a carattere interprovinciale. L’austerità del luogo, lo stile semplice, proprio della regola francescana, rendono l’ambiente particolarmente suggestivo ed invitano alla preghiera e alla riflessione. E’ il luogo ideale per gruppi parrocchiali che intendono trascorrere nel silenzio e senza distrazione turistica.

“Peccato che attendiamo che si facciano dei lavori alla nostra struttura colpita dal terremoto e la Soprintendenza di Caserta ha bocciato il progetto e non possiamo per ora più accogliere la notte i nostri ospiti”, aggiunge padre Gennaro a telefono.

Sempre nel casertano c’è il convento – santuario Maria SS dei Lattani ‘Regina Mundi’ a Roccamonfina altro luogo spirituale molto accogliente come il convento di Teano o l’eremo di San Vitaliano a Casolla (Caserta). Ad Avellino un’altra meta  magica è il Santuario di Santa Maria Montevergine ad oltre mille metri di altezza.
Ci sono poche camere  bisogna mettersi in lista di attesa per prenotarsi soprattutto in questo periodo.

I pasti si consumano in un apposito refettorio riservato agli ospiti. Il Centro La Pace di Benevento, invece, presso la contrada monte della Guardia è ideale per l’accoglienza di: campi scuola, esercizi spirituali, convegni, incontri di formazione e orientamento. Situato a due chilometri da Benevento e a pochi chilometri da Pietrelcina, il Centro La Pace dispone di parcheggio per

Il convento san Francesco in Polvica – casa religiosa di Tramonti, (Salerno)  è una struttura luminosa, semplice ma accogliente, è circondata dal profumo dei giardini che sono abbelliti da fiori spontanei. La casa dispone di un ampio refettorio con cucina di tipo professionale, di un chiostro, di un piccolo teatro, di sale per riunioni ed incontri, e una cappellina. Il chiostro, costruito nel 1700, è stato ultimamente restituito alla originaria linea architettonica.

La foresteria del monastero sulla collina a San Paolo di Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli) a pochi passi da Sorrento e da Positano è ideale per fare esercizi spirituali, esperienze di vita monastica, incontri di preghiera, ricerca vocazionale. Il complesso dispone di alcune stanze per accogliere gruppi di preghiera che singole persone. Dispone inoltre di una piccola biblioteca e sala di lettura, piccola cucina e si consiglia di provare le marmellate artigianali locali.

(By Leonardo Pietro Moliterni – 28 Luglio 2019)

 

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LA CULTURA TI FA MANGIARE!

 

Sabato 10 agosto, presso il Rifugio Cervati, in località Chianolle del Comune di Piaggine (Salerno), si svolgerà il terzo appuntamento di “Rifugi di cultura ” organizzato dal CAI Club Alpino Italiano e dagli infaticabili Andrea Scagano e Enzo Di Gironimo.
Insieme al Rifugio Cervati si inaugurerà la biblioteca più alta della Campania e sarà offerto un sano piatto di pasta e patate a chi donerà un libro per allestirvi la Biblioteca CAI più alta della Campania.

 

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INFINITI, INFINITO…  Gli infiniti – “L’aveva davvero visto, oltre la siepe, / un balenio dietro alle ciglia/o forse una lepre tra i cespugli,/qualcosa in fuga verso l’orizzonte?/O aveva soltanto intuito, /seduto al tavolo o affacciato al balcone, /la fuga incessante delle prospettive, /le ombre che scivolano alle nostre spalle/armate di chiodi e uncini /e le memorie che sfumano nel vago –/o che una mano inesorabile /non vista preda?”Mauro Ferrari, inedita

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

Guarracinismi tra antico e odierno

FARSI MONDO

“Le mitologie nazionalistiche non possono produrre, in Europa, che egoistiche chiusure identitarie, vuote retoriche, se non miserabili razzismi. Testimonianza di null’altro che dell’impotenza ad affrontare le trasformazioni del proprio ambiente. I miti europei sono soltanto quelli del viaggio, della scoperta, della curiosità per l’altro spinta magari fino al naufragio. Ma non sono miti , ecco il punto. Sono grandi opere dello spirito, della critica, della ragione. Sono creazioni, artifici . Non definiscono né radici, né confini, né dimore dove poter essere “in pace”. La loro Europa è una Patria che fugge . Non si sa dove inizi, né dove finisca. È suo destino il farsi mondo. Come una strada che si compia propria nell’andare, nulla di predeterminato o precisamente predeterminabile. Pericle si rivolgeva ai suoi concittadini ateniesi incitandoli a ritenere Patria le loro navi.”

Massimo CACCIARI

 

 

 

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IN VIAGGIO

Non era un viaggiatore “ariostesco”, Piero Chiara (Luino, 1913-Varese 1986). Viaggiava davvero per professione, da giornalista, non su atlanti e mappamondi in compagna di Tolomeo. Ne è una conferma questa raccolta di scritti, In viaggio, da poco usciti presso l’Editore Aragno, in cui si condensano anni e anni di collaborazione a quotidiani e riviste, dal 1948 all’’86, con resoconti “a caldo” ma ricchi sempre di luminibus ingenii, da molte parti del mondo, principalmente dall’amata Spagna. Nell’introduzione, Federico Roncoroni, che di Chiara era stato in vita collaboratore e amico e che ora continua, “fedele alle amicizie”, a trasmettere agli altri ciò che del Maestro di Luino resta ancora vitale, ossia gli scritti, parla di una pulsione a viaggiare, sulla spinta dei motivi più diversi, ma soprattutto di una nobile e inesausta curiositas, per scoprire che “la realtà ai suoi occhi era superiore ai sogni”.

 

PER PREMI – La giuria del VII Premio Letterario “Paolo Prestigiacomo” San Mauro Castelverde composta da Gabriella Sica (presidente), Roberto Deideir e Maria Attanasio, ha decretato Vincitori ex aequo Tiziano Broggiato (con “Novilunio”, Edizioni LietoColle) e Giuseppe Grattacaso (con “Il mondo che farà”, Edizioni Elliot); la stessa giuria ha poi assegnato due Menzioni Speciali: ad Antonio Lanza per il libro “Suite Etnapolis”, edito da Interlinea, e a Maria Pia Quintavalla per “Quinta Vez”, edizioni Stampa 2009.
Organizzato dal Comune di San Mauro Castelverde (PA), il Premio sarà consegnato in Piazza Municipio, sabato 3 agosto.

 

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DA LEGGERE

Su Hypnerotomachia Ulixis di Sonia Caporossi

“Amo, quindi sogno” (Sonia Caporossi). Il sogno esprime un possibile percorso dell’essere per attraversare la pulsione erotica come ricerca d’amore. L’incontro con la propria proiezione narcisistica può essere espresso per mezzo di un altro. Che magari “vive” attraverso un corpo-sesso diverso dal proprio, in quanto ciò risulta funzionale con il desiderio proiettivo. Questo altro può incarnare il personaggio che  “trasfigura”, nella narrazione di un testo, la propria pulsione erotica. Il corpo-testo tende ad essere una imprevedibile creazione: vuole essere scritto dal desiderio del suo autore attraverso le parole stesse. Come scrive Roland Barthes: “Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita sulla punta delle mie parole”.

Nel Manifesto della Pulsione, mio testo pubblicato su ‘Critica Impura’ (20 febbraio 2019), scrivevo che una narrazione pulsionale vuole “vivere” in un testo aperto agli sconfinamenti. In questo i generi della scrittura convivono naturalmente, colloquiando fra di loro per costituire un unico testo. Che può divenire voce e corporeità della scrittura stessa, narrandone le interne pulsioni del desiderio e della psiche. I molteplici frammenti di narrazione diventano una “storia” dell’autore alla ricerca dei propri archetipi erotici.

Questa premessa serve per introdurre un mio attraversamento del “romanzo onirico” di Sonia Caporossi Hypnerotomachia Ulixis (Carteggi Letterari, 2019). Definire questo libro un romanzo risulta una “maschera” della scrittura, in quanto lo scorrere di lettura ne evidenzia la complessità, leggibile nei suoi frammenti testuali: ben strutturati e rielaborati nella loro specifica significanza. Questi volutamente “si perdono” nel magmatico dettato dell’autrice, che indica, attraverso un “viaggio di Ulisse”, l’esistenza di un proprio esplicito itinerario-progetto tematico. Che si snoda in un monologo di sette capitoli, percorrendo aree letterarie differenti. L’autrice esprime, infatti, questo suo percorso anche attraverso la conoscenza filosofica, che dialoga con la narrazione per “svelarsi” talvolta frammento di poesia.”

Vitaldo CONTE

 

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MEDITERRANEO, IL GIARDINO DEGLI ABBRACCI – “Tutte dovremmo scoprirle le strade /che portano all’ incontro con le porte /e ad ogni bivio schiudono alla luce //Qualcuno ostenta proprie differenze,/raccolte nella polvere dei luoghi /dell’abbandono delle intelligenze. //E ci vorranno scope e strofinacci /per una pulitura a fondo e canti /a rendere le stanze più accoglienti //con vista sul giardino degli abbracci /verso un mare rotondo che confonda /albe e tramonti, spazi e le frontiere.” Gianfranco ISETTA, 26 giugno 2019

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

 

Guarracinismi tra antico e odierno

PENSANDO A NAPOLI (PER RICORDARE LUCIANO DE CRESCENZO) – “Napoli mi manca sempre tanto e mi manca anche quando sono a Napoli. Napoli è più forte dei suoi abitanti, può cadere ma si rialza sempre. In questo mondo in cui il progresso sembra prendere il sopravvento su tutto, in cui le città sono sempre più simili le une alle altre, Napoli è l’unico luogo che riesce a mantenere intatta la propria identità.
Una copia di Napoli non potrà mai esistere, per questo è l’ultima speranza che abbiamo”.

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Sulla “Società del pieno” – “Confine spostato calcolato confuso / Limite /despoti  inesperti / poeti incapaci / beati in fretta e furia conclamati / neppure loro sanno: / bontà impolverata sperduta / tra strade case di città inospitali / fruga ignorata derisa / tra scarti di cucina / piange.//Si sfamerebbero tutti. / Bello sarebbe assumere la colpa./ Carità malaticcia dissoda / terra  troppo secca / sentire / sviato dalla mente / tratto di matita sottolinea l’errore / fa di conto./ Esempio di pochi / quasi zero nella ingorda / civiltà del pieno.” (Fausta Squatriti, Olio santo, 2010-2016, con prefazione di Mariella De Santis, NewPress 2017)

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IL PIETROSO FINITO – “Sul destino da riservare ai celesti / oltre il pietroso finito della terra / non c’è intesa tra gli umani / nell’atto di sottrarsi all’apparenza / né si placa tra i divini la contesa / per bandire il vuoto del giardino” (FLAVIO ERMINI, Edeniche, Moretti&Vitali 2019)

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DOMENICHE PERICOLOSE – Molto ha scritto e fatto scrivere, Giovanni Lischio, prima di approdare presso un editore come Macchione di Varese a questo giallo bipartito, Le domeniche pericolose. Le coppie, specialmente, che conclude una trilogia iniziata qualche anno addietro, nel ’13, con Il lato maggiore e proseguita nel ’15 Finché morte…(mentre nel cassetto un altro ancora aspetta, forse il più interessante, La ragazza col cane in spalla). Senza contare acrostici, aforismi, i “giochi” di parole (penso a una serie godibilissima di “ritratti” di animali in versi, anche questa ancora inedita e intitolata “Dalla a alla zebra”). Dicevo fatto scrivere, perché Giovanni è uno che, per una vita intera spesa nella scuola, pubblica e privata (per molti anni, ha insegnato anche al Gallio), lo stipendio se l’è guadagnato “divertendosi” con le legioni di studenti affidati alle sue cure, insegnando loro a scrivere, a creare, a essere insomma se stessi.

Ma come c’è di così singolare nel libro, Le domeniche pericolose. Le coppie, specialmente, da prestarsi per parlare dell’autore? Ci sono due problemi di stringente attualità, qui sul lago, da noi, ma anche altrove: c’è il mondo delle badanti, provenienti dall’est, con la loro difficile integrazione, nel primo, e le infiltrazioni mafiose nel Comasco, nel secondo, il tutto su uno scenario apparentemente placido e incantato, un piccolo mondo di ordinaria quotidianità, quale è il lago nel versante che dal Triangolo Lariano guarda Lecco e propriamente i paesi di Onno-Limonta-Oliveto.

È proprio qui che Lischio va ambientando ormai da tempo le sue storie, indagando e scovando, attraverso l’acume di un giornalista-detective particolare, Lorenzo Melori, i lati più oscuri della vita (e della psiche) dei suoi abitanti: storie ambigue e inquietanti, vicende di personaggi apparentemente comuni, vittime di azioni a volte inspiegabili se non con raptus di follia.

Scrittore in versi e in prosa, dunque, uno che ha attraversato e sperimentato molti linguaggi, restando sostanzialmente candido, “fanciullino”, con la capacità di giocare con le parole, di investirsi nel sapere degli altri, Giovanni Lischio: uno che, in virtù anche di una vita spesa nel grande arengo della scuola, l’avrebbero definito polytropon (nel latino di Andronico, versutum, dalle molteplici applicazioni e competenze). Versatile, insomma: narratore, comunicatore e soprattutto poeta, nel suo senso più ampio di creatore di linguaggio e capace di dialogare con semplicità e candore con giovani e meno giovani.

Uno che letteralmente “molto ha conosciuto”, attraversando e praticando innumerevoli territori, con la mente e col cuore, sfidando con la scrittura luoghi comuni e pregiudizi, sempre fedele a una propria riconoscibile cifra esistenziale e intellettuale, che si può pressappoco riassumere e condensare così, una visione della vita generosa e aperta a una intelligenza delle cose senza illusioni, per sé e per gli altri.

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).