Silvia Comoglio – In acque di silenzio/ În ape de tăcere

Farfalla

essa   – è-già-la-luce

del dio  – dentro al campo ―

terra  – a bella vista –

in lenta  – spoliazione

1. I

sempre  – sei  eco di radice

del tempo  – senza volto

→ il prendere del sogno

                  l’albero stupendo

– a forma –  della vita,

questo-solo-chiasso

di un unico tuo punto,

nell’aria che ti parla

– a menzogna –  mai finita,

ad alta   notte che si squilla

nell’ultimo gridare, sull’ul-

timo crinale

1. II

e fusa

in ombre del tuo pianto

sei  questo  – solo iato,

i tempi  – sempre trasparenti –

che spezzano stasera

albe  – di montagne, e il volto 

che dice e poi ripete  – lettere che sono

orme  solo terse

nel luogo  – senza bosco

1. III

e  me di spalle

è il ponte di traverso,

il tendere sull’acqua

alberi e paesi

feroci e circolari, alberi caduti

in questo solo sogno

di un mondo  – dentro al mondo


2. I

→ “e il lume che qui soffia

nell’albero di vita

è questa sola bocca,

la terra già distesa

il cui moto, mi dicevi,

è quanto qui si pesa

dal buio  – al mio mattino,

in quieto solo corpo

lungo  – di sospiro

2. II

“e filo della voce

è vedersi  – di questa  sola terra,

in soffio che risplende

perfetto a desiderio ―

è il canto ripetuto

in tiepida materia,

in nomi  – tutti –  da capire,

alti e già disciolti

in echi solo a spazio

di vertici dell’aria

2. III

“e il pianto della  luce

è l’ultima memoria,

lo spargere sottile

di un ordine del mondo

che fece  – precise di deriva –

soglie  – dalle case! –

                    del tutto separate,

la notte   – felice –   di se stessa

Fluture

ea – e – deja – lumina

lui dumnezeu – în lagăr –

pământul – la vedere –

în lentă – prădare

1. I

întotdeauna – ești ecou de rădăcină

a timpului – fără chip

→ luarea visului

                  arborele minunat

– în forma – de viață,

acest – solitar – zgomot

al unui singur punct al tău

în aerul care îți vorbește

– mincinos – neîncetat,

în noaptea înaltă care sună

în ultimul strigăt, pe ul-

tima creastă

1. II

și topită

în umbrele plânsului tău

ești asta – doar hiatus,

vremurile – mereu transparente –

care frâng în seara asta

zări – de munți, și chipul 

care spune și apoi repetă – litere care sunt

urme doar limpezi

în locul – fără pădure

1. III

și eu cu spatele

este podul peste,

întinderea peste apă

copaci și sate

barbare și circulare, copaci căzuți

în acest vis singur

al unei lumi – în interiorul lumii


2. I

→ “și lumina care suflă aici

în copacul de viață

e această singură gură,

pământul deja întins

a cărui mișcare, mi-ai spus

e ceea ce aici se cântărește

din întuneric – la dimineața mea

în trup singur liniștit 

lung – de suspine

2. II

“și fir de voce

e să te vezi – din acest pământ singur,

în respirație care strălucește

desăvârșit la dorință –

e cântecul repetat

în materie caldă,

în nume – toate – de înțeles,

înalte și deja dizolvate

în ecouri doar în spațiu

de vârfuri de aer

2. III

“și plânsul luminii

e ultima memorie,

împrăștierea subțire

a unei ordini a lumii

care a făcut – precise de derivă –

praguri – din case!

                    complet separate,

noaptea – fericită – de ea însăși

Silvia Comoglio, nata nel 1969, laureata in filosofia, ha al suo attivo numerose raccolte poetiche e vari riconoscimenti di critica. Tra i libri pubblicati  si ricordano Ervinca, il libro di esordio, Bubo bubo, Via Crucis, Il vogatore, scacciamosche (nugae) e Afasia.

Silvia Comoglio, născută în 1969, licențiată în filosofie, are la activ numeroase volume de poezie și diferite recunoașteri din partea criticii. Printre cărțile publicate se numără Ervinca, cartea sa de debut, Bubo bubo, Via Crucis, Il vogatore, scacciamosche (nugae) și Afasia.

OTILIA ŢEPOSU – La lezione del giorno

Oggi,
la neve odora

come quella dei lupi di sera.
Adesso lo so
gli anni degli dei non mi raggiungeranno più.
Mi è estraneo anche quest’attimo.
Sono deserta
come il testimone albero,
dietro il quale si nasconde la vittima dal cacciatore,
che, per evitarlo,
la copre di ombre e
venticelli primaverili.

Faccio sempre più fatica a capire la lezione del giorno
conosco bene tutti i momenti dell’argomento,
anche se non capisco più l’intrigo e la conclusione.
La neve mi copre con una bara di fiocchi,
sono ancora padrona di un delta ghiacciato
dove sto in mezzo e conto le ore,
Quelle di ieri.

(trad. E. Macadan)

È da una condizione di solitudine e dolore, da un “delta ghiacciato”, che Otilia Ţeposu cerca un’uscita, la sua salvezza, attraverso la “parola”: una strada “solo in andata”, per dire in filigrana un bisogno disperato e inudibile, il bisogno (e il sogno) di sfuggire all’”ombra”, all’assenza di luce, alla “neve”, a partire da un passato di perdite e sconfitte che l’attanaglia, sì, ma che le dona anche sguardi taglienti e luminosi, versi come lame che forzano il silenzio, che cercano un varco per penetrare nel cuore di un ascolto impossibile. È da qui, da questo habitat di “freddo” enorme e insopportabile, che Otilia lancia con vigile ma drammatica dolcezza la sua richiesta, la sua domanda di amore. (V. Guarracino)

Otilia Ţeposu – nata nel 1958 a Cavnic – Maramures (Romania), studi artistici e filologici a Cluj Napoca e Bucarest. Esordisce in pubblicistica nel 1978, poi insegna letteratura universale a Bucarest fino al 1998, quando inizia il lavoro presso una testata giornalistica nella capitale romena. Otilia Ţeposu è nota per i suoi reportages pubblicati negli ultimi due decenni sul settimanale romeno “Formula As”. Il suo primo libro di racconti Druşca è uscito nel 2017. Nel 2019, presso EdituraEikon di Bucarest, è stata pubblicata la sua prima raccolta di poesie intitolata L’aria dalle ossa, successivamente tradotto ed edito anche in lingua italiana da Puntoacapo nel 2020.

Segnalazione libri: poesia romena in traduzione: L’Aria delle ossa, di Otilia Teposu, Puntoacapo, 2020

“Incontrovertibilmente una vaga bellezza che si coniuga a un senso di magia connota i componimenti e se non si può sconfiggere la morte almeno si può scrivere e nella scrittura ritrovare la pace perduta insieme alla libertà nel tentativo di abitare poeticamente la terra.
I versi hanno nella loro chiarezza, leggerezza ed icasticità nonché nella loro affabulante narratività impresso il segno di una parola avvertita, raffinata e ben cesellata”

Continua su:

http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com/2021/03/segnalazione-volumi-otilia.html

And Ink Like This, Fabrizio DALL’AGLIO, Gradiva Publications, 2020

Give me depression

For the rain to fall from my eyes –

My sirocco wind

No longer has direction.

 

Give me economy,

I would like to sell my time,

Swap my silence

For a bit of cheerfulness.

 

Give me the edge of the world,

Where dinosaurs are –

There I would like to hit rock bottom

Of tears and of years.

*

Dammi un po’ di depressione,

vorrei piovere dagli occhi.

Il mio vento di scirocco

non ha più una direzione.

 

Dammi un po’ di economia,

vorrei vendere il mio tempo,

barattare il mio silenzio

con un’unghia di allegria.

 

Dammi il margine del mondo

dove stanno i dinosauri.

Là vorrei toccare il fondo

delle lacrime e degli anni.

 

***

 

I altered planets;

Though life would go on

On Earthe.

I changed planet.

I survived a death

-My own –

That took place at other times

And other times revived.

Undamaged, life could go on,

Resilient, adhering to some

Enduring substance;

Its more fertile blends

Now intermittent.

I was throwing my lives away,

Using but one

As a definite end in view.

I looked at myself, from my new planet,

And it was only me walking

On the older planet,

Me quite like myself

Before that other death.

My animal soul quivered,

Hanging by

The inseparable noose of time –

I looked at it casually,

With the pleasure or pain

Of experiment, or something

That might not concern me.

*

Avevo cambiato pianeta.

Continuavo la mia vita

sulla terra,

ma avevo cambiato pianeta.

Succedevo a una morte

– la mia stessa –

accaduta altre volte

altre volte ripresa.

Illesa a me la vita proseguiva

rinfrancava le forze, aderente

alla mia duttile materia

di impasto fertile,

intermittente.

Così cestinavo le mie vite

vivendone una,

come per una meta stabilita;

dal mio nuovo pianeta mi osservavo

ed ero io a camminare

sopra il vecchio pianeta,

io in tutto uguale

alla mia vita prima della morte.

Fremeva la mia anima animale

appesa

al cappio inseparabile del tempo;

la guardavo distratto

nel piacere dolore

di un esperimento

che non mi riguardava.

 

***

 

It was not rain, no, it was not snow,

It was neither sunshine nor wind

And the season was its own restricted space,

A model of time in plastic, a vision.

 

It was not before, no, it was not after,

It was neither night nor day. It would all

Detach and reattach into moments without you,

Without me, or what was there.

 

It was not you, no, it was not me,

It was neither mouth nor body; nor hand nor eye,

But an abandonment in a reflection;

And more a useless, flashing glance.

*

Non era pioggia, no, non era neve

non era sole o vento, e la stagione

era soltanto il suo ristretto spazio

un plastico di tempo, una visione.

 

Non era prima, no, non era dopo

non era notte o giorno, si staccava

e si fissava in un istante vuoto

di te, di me, di tutto ciò che c’era.

 

Non eri tu, no, non ero io

non era bocca corpo mano occhio

ma abbandonato in fondo al suo riflesso

l’inutile bagliore di uno sguardo.

Nikolaj Gumilëv – Tre poesie

Preghiera (1907)

 

Sole feroce, sole maligno,

di Dio che vaga negli spazi,

muso folle,

 

sole, brucia il presente

nel nome del futuro,

ma abbi pietà del passato!

 

 

Canzone (1917)

 

Il tuo tempio, Signore, è nei cieli,

ma anche la terra è il tuo rifugio.

I tigli stanno fiorendo nella foresta,

e sui tigli gli uccelli cantano.

 

Come il suono delle tue campane in festa,

la primavera è in cammino per i campi allegri,

e in primavera sulle ali del sogno,

gli angeli scendono verso di noi.

 

Se è così, Signore,

se canto il vero,

dammi, Signore, dammi un segno,

che ho compreso la Tua volontà.

 

Din fronte a chi ora è triste,

appari come una Luce Invisibile,

e qualunque cosa lei chieda,

dà una risposta abbagliante.

 

Perché più del piacevole canto degli uccelli,

più beate delle trombe degli angeli,

sono a noi il brivido delle ciglia

e il sorriso di labbra care.

 

 

Preghiera dei maestri (1920)

Ricordo l’antica preghiera dei maestri:

preservaci Signore da quelli allievi

 

che vogliono che il nostro, miserabile genio

cerchi sempre in modo sacrilego nuove rivelazioni.

 

Un nemico giusto e onesto ci potrebbe piacere,

ma quelli spiano ciascuno dei nostri passi,

 

Loro sono contenti che noi lottiamo, per ora

Pietro ritratta e Giuda tradisce.

 

Solo il cielo conosce il limite delle nostre forze,

i posteri giudicheranno quanto ciascuno ha nascosto.

 

Ciò che creeremo da ora in poi è nelle mani di Dio.

ma ciò che creeremo è a tutt’oggi nostro.

 

A tutti gli offensori mandiamo il nostro saluto,

rispondiamo a quelli esaltati: no!

 

I lusinghieri rimproveri e il rumore della voce risibile,

sono egualmente osceni dinnanzi al tempio della creazione.

 

Ѐ vergognoso opprimere l’artista con la droga

come un elefante cartaginese prima della battaglia!

 

(tratte da Nikolaj Gumilëv, poesie scelte, PPP, 2019, traduzioni di Amedeo Anelli)

Jeremy PAGE – Due poesie tradotte da Sara Comuzzo

POSTCARD OF ODESSA

 

Clearing out another drawer,
I come across the postcard
quite by chance – sepia, faded,
the city’s name in Cyrillic script,
and before I know what I am doing
I am composing your name
in characters that are as unfamiliar
to me now as you are,
forty odd years on from the picnic
on the Potemkin steps, the glasses
raised to toast our futures
in the cheapest Soviet vodka;
and all the innocence you coaxed
from me, so tenderly.

 

CARTOLINA DI ODESSA

 

Mettendo in ordine un altro cassetto,

mi imbatto nella cartolina

quasi per caso – di color seppia, sbiadita,

il nome della città in caratteri cirillici,

e prima di sapere cosa sto facendo

sto componendo il tuo nome

in caratteri che mi sono così estranei

adesso, come lo sei tu,

quarant’anni e passa fa dal picnic

sui gradini di Potemkin, i bicchieri

alzati per brindare ai nostri futuri

con la vodka sovietica più economica;

e tutta l’innocenza che hai sfilato

da me, così teneramente.

 

SHADOWLAND

 

I wake to a new world order.

My radio breaks the news

that suddenly the past

really is another country,

and my passport – my last

in burgundy – has become

a historical curiosity overnight.

 

To make tea seems

an act of betrayal now –

let it be coffee, croissants,

and let there be cheese,

quark, and a handful of leaves.

I am a citizen of Shadowland

and I have woken somewhere else.

 

24 June 2016

 

TERRA D’OMBRA

 

 

Mi sveglio ad un nuovo ordine mondiale.

La mia radio dà notizia

che all’improvviso il passato

è davvero un altro paese,

e il mio passaporto – il mio ultimo

in Borgogna – è diventato

una curiosità storica durante la notte.

 

Preparare il tè sembra

un atto di tradimento ora –

lascia che sia caffè, cornetti,

e lascia che ci sia formaggio,

quark e una manciata di foglie.

Sono un cittadino della Terra D’Ombra

e mi sono svegliato da qualche altra parte.

 

24 Giugno 2016

 

Jeremy Page ha pubblicato diverse raccolte di poesie, tra le quali In and Out of the Dark Wood (HappenStance, 2010) e Closing Time (Pindrop, 2014). Ha anche svolto traduzioni di Catullo, Leopardi, Rimbaud, Verlaine e Boris Vian. La sua novella London Calling è stata pubblicata da Cultured Llama nel 2018. È uno dei membri fondatori del trimestrale letterario The Frogmore Papers.

‘Cartolina di Odessa’ è stata pubblicata nella rivista Agenda; ‘Terra d’ombra’ in Finished Creatures.

 

 

 

 

 

© Natalia Bondarenko

Sara Comuzzo (Udine, 1988) ha vissuto in Canada, Scozia, Australia, Nuova Zelanda, Africa, Irlanda e Inghilterra. Ha vinto il Premio “Valerio Gentile” con la raccolta di racconti Dove nessuno può cadere (Schena Editore, 2014). Alcune sue poesie e recensioni sono comparse su diversi riviste online e siti.

Ha pubblicato quattro raccolte di poesie; la quinta è in arrivo. Ha appena finito un master in letteratura moderna e studi di genere alla Sussex University, con una tesi sul teatro di Sarah Kane. Vive e lavora in Inghilterra.

Vince FASCIANI – Due poesie

c’è una fila di tombe

la neve è molle di ricordi

perché il bianco è la norma

 

il luogo è stato pavimentato

per farne una stazione di servizio

non sembrano volersene scusare

 

queste cose senza colore

sono forgiate nella paura

 

se menziono tanti dettagli

è perché vedo sullo sfondo

il profilo di una piramide bianca

 

***

 

uno specchio in cortile

la neve di un tempo

la fuga di un bambino

 

non è con voi che è imbronciato

è con il vetro della finestra

sempre lo stesso

 

a seconda di dove è situato

lancia un’occhiata

i ricordi appesi gli uni e gli altri

in un sogno immutabile

e riordina i mostri

nel petto ardente

 

da  Un ange passe (2002) – Trad. Mia LECOMTE

 

 

          © Vince Fasciani

Vince Fasciani è nato nel 1950 a Brig/Glis, in Svizzera, da padre abruzzese e madre svizzera-tedesca. Autodidatta, ha iniziato nel 1977 la sua attività letteraria vera e propria, dedicandosi sopratutto alla poesia e intrecciando varie e importanti collaborazioni internazionali, in particolare a Parigi (poeti surrealisti e fonetici, fra cui soprattutto Ghérasim Luca) e a Praga (pittori e poeti surrealisti, tra i quali Jan Svankmajer, Vratislav Effenberger, Karol Baron, etc.). Autore in italiano e francese, nell’aprile 1983 pubblica a Ginevra il suo primo volume di poesie e varia dal titolo Saisons métisses (Olizane). A partire dal 1984 parteciperà a numerose letture pubbliche, in particolare in Svizzera, Italia, Francia, Colombia e Nicaragua. Ha fatto parte, dall’84 all’87, della cooperativa editrice Aelia Laelia e ha tradotto il Manuale di autodistruzione di Carlo Bordini (Manuel d’autodistruction, Metropolis 1995). Tra le ultime pubblicazioni poetiche si ricordano: in italiano Diario ordinario (Campanotto, 2007); in francese Trousse poétique de secours (l’Age d’Homme, 2013) e J’ai oublié mon âme au pressing (l’Age d’Homme, 2019). È incluso nell’antologia Cento anni di poesia nella svizzera italiana (a cura di P.V Mengaldo, R. Martinoni e G. Bonalumi, edizioni Armando Dadò, 1997) con una una nota critica di Pier Vincenzo Mengaldo. Nel 2014 Valerie Bierens de Haan gli ha dedicato Vince Fasciani: poète de sa vie, raccolta di interviste sul suo percorso biografico e letterario (l’Age d’Homme). Vive a Ginevra, dove lavora ugualmente per l’associazione umanitaria Carrefour rue (https://www.carrefour-rue.ch/).

Patrick Williamson – Due poesie

Luce dispersa

Cadono granelli nella luce

a raccogliersi sull’orlo del tappeto,

 

barattiamo con raggi di sole

dispersi nel crepuscolo,

 

siamo in moto perpetuo,

spargiti, effondi, guizza, e

 

curva una spazzola in ogni angolo,

raccogli il caos, prova a fermare

 

ciò che ci scrolliamo nell’ombra,

siamo strofinacci arrotolati

 

stelle sfarfallanti nell’ombra

cancellate da un chiudersi d’imposte

 

Light scattering

 

Motes in the sunlight fall

to clusters on carpet skirts,

 

let us barter with rays of sun

scattered in the twilight,

 

we are in perpetual movement,

exhale, swirl, disperse, and

 

curve a brush into each corner,

collect the hubbub, try to pin

 

down all we shed in the dusk,

we are dusters that furl,

 

flickering stars in the dusk
that vanish as the shutters close.

 

Il profondo

 

Il mare è una grande bocca, divora

la nostra ultima vulnerabilità,

 

scossi come in un globo di neve,

un mondo in un occhio, in quel momento

 

divento sale

e giaccio sulle ferite della terra

 

e lei trema di rabbia

 

devo risolvere ancora una cosa

prima di andarmene

 

sotto il globo di luce ombra

 

non siamo mai giunti a una svolta

nella vita, mai abbiamo capito

 

muti, a bocca aperta,

ci siamo seppelliti nella sabbia.

 

The depths

 

The sea is a great mouth eating

our final helplessness,

 

shaken as in a snow globe,

a world in eye, in that moment

 

I become salt

and lie on the wounds of the earth

 

and it shivers with rage,

 

I have one thing left to solve

before I go

 

under the globe of light-shade

 

we never turned a corner

in our lives, never knew better,

 

soundless, open-mouthed,

we buried ourselves in sand.

 

Patrick Williamson abita vicino a Parigi. Poeta e traduttore letterario, ha pubblicato una dozzina di opere. Le sue ultime raccolte sono Traversi (inglese-italiano, Samuele Editore, 2018), Beneficato (Samuele Editore, 2015), Tiens ta langue/Hold your tongue (Harmattan, 2014), Gifted (Corrupt Press, 2014), e Nel Santuario (Samuele Editore, 2013; Menzione speciale della Giuria della XV Concorso Guido Gozzano, 2014). Ha curato e tradotto The Parley Tree, An Anthology of Poets from French-speaking Africa and the Arab World (Arc Publications, 2012), e ha tradotto fra gli altri Tahar Bekri, Gilles Cyr, Guido Cupani and Erri de Luca. È membro fondatore dell’agenzia transnazionale Linguafranca.

Traduzione: Guido Cupani

Mihai EMINESCU (n. 15 gennaio 1850)

Odă (în metru antic)

Portrait of Mihai Eminescu – photograph taken by Jan Tomas (1841-1912) in Prague, 1869

Nu credeam să-nvăţ a muri vrodată;
Pururi tânăr, înfăşurat în manta-mi,
Ochii mei nălţam visători la steaua
Singurătăţii.

Când deodată tu răsărişi în cale-mi,
Suferinţă tu, dureros de dulce…
Pân-în fund băui voluptatea morţii
Ne’ndurătoare.

Jalnic ard de viu chinuit ca Nessus.
Ori ca Hercul înveninat de haina-i;
Focul meu a-l stinge nu pot cu toate
Apele mării.

De-al meu propriu vis, mistuit mă vaiet,
Pe-al meu propriu rug, mă topesc în flăcări…
Pot să mai re’nviu luminos din el ca
Pasărea Phoenix?

Piară-mi ochii turburători din cale,
Vino iar în sân, nepăsare tristă;
Ca să pot muri liniştit, pe mine
Mie redă-mă!

 

ODE (in ancient meter)

 

I never thought I would learn how to die, ever.

Forever young, cloaked in my mantle,

My eyes, dreamful, were affixed to the star

Of solitude.

 

All of a sudden you rose across my way –

You, my suffering, so painful and sweet;

To its full I drank your voluptuous,

Merciless death.

 

Wretched I burn alive tortured like Nessus,

Or like Hercules by his harness poisoned –

My fire can’t be quenched by all the sweeping

Waves of the seas.

 

Woe betide, by my own dream devoured…

Consumed by flames, I wail on a pyre, my own;

Can I never rise anew, luminous

Like the Phoenix?

 

Oh, troubled eyes, from my path now vanish,

Return to my bosom, sad indifference;

So I can die in peace, my own old self

To me redeem!

(1883)

 

LA STEAUA

La steaua care-a răsărit
E-o cale-atât de lungă,
Că mii de ani i-au trebuit
Luminii să ne-ajungă.

Poate de mult s-a stins în drum
În depărtări albastre,
Iar raza ei abia acum
Luci vederii noastre,

Icoana stelei ce-a murit
Încet pe cer se suie:
Era pe când nu s-a zărit,
Azi o vedem, şi nu e.

Tot astfel când al nostru dor
Pieri în noapte-adâncă,
Lumina stinsului amor
Ne urmăreşte încă.

 

UNTO THE STAR

‘Tis such a long way to the star

Rising above our shore –

It took its light to come this far

Thousands of years and more.

 

It may have long died on its way

Into the distant blue,

And only now appears its ray

To shine for us as true.

 

We see an icon slowly rise

And climb the canopy –

It lived when yet unknown to eyes:

We see what ceased to be!

 

And so it is when yearning love

Dies in the deepest night:

Its extinct flame still glows above

And haunts us with its light.

 

(1886)

(da Eternal Longing, Impossible Love/ Eternul Dor, Imposibila Iubire, english translation by Adrian George Sahlean, Eikon, Bucarest, 2016)

Nina Cassian: “… The work accomplished by Adrian George Sahlean is undoubtedly quite a feat. He is not the first who dared to climb the ‘steps of perfection’ and, I am sure, he will not ne the last… On reading it, though, some of his ‘solutions’ seem impossible o surpass. I consider this most recenttransation of the ‘’Evening Star’ a true cultural event which should be welcomed”

Nina Cassian: “… lucrarea lui Adrian George Sahlean e fără indoială o performanţă. Nu e primul care s-a încumetat să urce menţionatele ‘trepte ale desăvârşirii’ şi – sunt sigură – nu este ultimul… Unele ‘soluţii’ pe care le-a aflat par însă, la prima lectură, de nedepăşit… Consider că această cea mai recentă traducere a “Luceafărului” merită salutată ca un adevărat act de cultură.”

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Mihai_Eminescu

Nikolaj Gumilëv – I miei lettori

I miei lettori

 

Un anziano avventuriero di Addis-Abeba,

che aveva sottomesso molte tribù

mi mandò un suo lanciere nero

con un saluto composto dai miei versi.

Un sottotenente che guidò le cannoniere

sotto il fuoco delle batterie nemiche,

un’intera notte in un mare del Sud

mi ha recitato a memoria i miei versi.

L’uomo che dalla calca della folla

uccise l’ambasciatore dell’Imperatore

venne a stringermi la mano

felicitandomi per i miei versi.

 

Molti di loro, forti, malvagi e  gioiosi,

uccisori di elefanti e di uomini,

che muoiono di sete nel deserto

o congelati sul bordo di un pezzo di ghiaccio perenne,

fedeli al nostro pianeta

forte, gioioso e malvagio,

tengono i miei libri in una borsa da sella

li leggono in un bosco di palme,

li dimenticano su una nave che affonda.

 

Io non li insulto con la nevrastenia,

io non li umilio con il calore del sentimento

io non li infastidisco con sottintese profonde allusioni,

sul contenuto d’un uovo succhiato,

e quando intorno fischiano le pallottole,

quando le onde  rompono  le rive,

io insegno loro a non aver paura,

a non aver paura e a fare ciò che si deve.

 

E quando una donna dal bellissimo volto,

l’unico amato in tutto l’universo,

dice: «Non vi amo»,

io insegno loro a sorridere,

a partire e a non tornare più.

E quando verrà l’ultima ora,

e fitta e uniforme la nebbia gli oscurerà la vista,

insegnerò loro a ricordare

tutta la cara e crudele esistenza,

la terra natale e il mondo strano,

ed al cospetto di Dio,

ad attendere tranquilli il suo giudizio

con parole semplici e sagge.

(traduzione di Amedeo Anelli)

 

Мои читатели

 

Старый бродяга в Аддис-Абебе,
Покоривший многие племена,
Прислал ко мне черного копьеносца
С приветом, составленным из моих стихов.
Лейтенант, водивший канонерки
Под огнем неприятельских батарей,
Целую ночь над южным морем
Читал мне на память мои стихи.
Человек, среди толпы народа
Застреливший императорского посла,
Подошел пожать мне руку,
Поблагодарить за мои стихи.

Много их, сильных, злых и веселых,
Убивавших слонов и людей,
Умиравших от жажды в пустыне,
Замерзавших на кромке вечного льда,
Верных нашей планете,
Сильной, весёлой и злой,
Возят мои книги в седельной сумке,
Читают их в пальмовой роще,
Забывают на тонущем корабле.

Я не оскорбляю их неврастенией,
Не унижаю душевной теплотой,
Не надоедаю многозначительными намеками
На содержимое выеденного яйца,
Но когда вокруг свищут пули
Когда волны ломают борта,
Я учу их, как не бояться,
Не бояться и делать что надо.

И когда женщина с прекрасным лицом,
Единственно дорогим во вселенной,
Скажет: я не люблю вас,
Я учу их, как улыбнуться,
И уйти и не возвращаться больше.
А когда придет их последний час,
Ровный, красный туман застелит взоры,
Я научу их сразу припомнить
Всю жестокую, милую жизнь,
Всю родную, странную землю,
И, представ перед ликом Бога
С простыми и мудрыми словами,
Ждать спокойно Его суда.

Legge Lorena Nocera