Lucianna ARGENTINO, In canto a te, Samuele Editore, 2019

“A pochi è data una simile esperienza straordinaria, e qui la poetessa sa tradurre nella poesia tutta una gamma significativa di immagini e parole evocatrici, registri colti e comuni, luoghi di spiazzamento, punti di vista insoliti, riferimenti letterari, colloqui con altre molteplici scritture, come abbiamo già indicato. Quanto c’è di dato autobiografico viene posto in relazione e si dipana con leggerezza dentro una tradizione letteraria magari non così diffusa e universalmente conosciuta, ma tuttavia presente e forte nella letteratura e nella scrittura del passato, e dialoga con essa.”

(dalla prefazione di Gabriella Musetti)

 

Perdonami

per non aver compreso allora

quanto profondo fosse l’amore

questo che ha attraversato

primavere renitenti e inverni caparbi

e approda ora alla nostra estate piena

con lo stesso volto

gli occhi arrossati dal rimpianto

le mani giunte in preghiera

per la grazia del qui e ora

noi liberi dal per sempre

ché eterno sarà l’essere stati.

 

*

 

Tra gli occhi di lui e i miei

l’attesa intorpidita e dolorante,

il coraggio del respiro,

il formicolio dello sguardo

a lungo immobile davanti alla pagina

nel cui nome separo

le acque di sopra dalle acque di sotto.

Creo terra con frutti in abbondanza,

d’obbedienza sazio gli angeli

in lode di lui che mi rammenda gli strappi,

fa l’orlo ai miei abiti.

 

*

 

Riconsegno la costola a Dio,

offro la metà del mio cuore

per il nuovo innesto

così che i due siano davvero

una carne sola, un coro il battito,

consanguinei i passi del sangue,

congiunto il respiro.

Come con lui io

– noi corpo dell’Eden.

Valeria Di Felice, Il battente della felicità, 2019 – Nota di lettura di Maria Lenti

Cuore-Amore è rima ardua, la più difficile del mondo (Umberto Saba). La sequenza di gesti, l’anamnesi, l’agguato della fine, o la prossimità al… cielo, l’immersione nel piacere sensuale, l’abbraccio del no, il rifiuto dopo l’intesa, altro, sono già nel seminato poetico di secoli e secoli e in ogni lingua del mondo.

Come agire questi tratti, singolarmente o insieme, oggi, in poesia? Sarà l’ascolto del sé, momento per momento, la “presa” dentro i versi di sensazioni, di incontri dentro un incontro o viceversa per fermarlo e animarsi e dirsi-dirlo in altra sostanza?

Ecco, l’ultimo libro di Valeria Di Felice, Il battente della felicità, ha il passo e l’andamento or ora delineato. Io e tu, dove l’io si distende interloquendo con un tu che dimora di sicuro (nelle varie poesie) nell’io della persona che lo nomina ma anche nel proprio sé, di cui, la persona che lo nomina, ha cercato di conoscere (e cerca di farlo ancora) una interiorità aderente alla propria. Interiorità sì, ma anche il corpo che quella interiorità contiene.

L’amore torna da dove nasce e nasce dove è tornato, si fa radice e nutrimento, si nomina nelle sue tante sinuosità del sentire intimo: delle fibre del corpo di quelle del sentimento; dell’emozione erotica e dell’emozione del cuore.  Se c’è negli spazi il pensiero alla ricerca del respiro, non c’è lo spazio della perdita, il dispendio dell’amore: «In questa stanza di troppa luce / non so scrivere più parole buie / perché tu sei chiaramente qui / limpidamente immerso nel grembo / di muschi e intrecci – / rami abbracciati ai nostri tronchi / in questo bosco dove l’ombra / si fa ritorno e latte sgorgato / dai seni della terra.» (p. 47).

Nell’inizio della scoperta, mai finita, e dunque nel suo prosieguo, si tracciano le linee, le curve, le parole dell’unione delle due persone e, infine, la felicità.

Che viene esplicitata al presente indicativo: quello che è stato (nella reciproca conoscenza) è, ed è anche in funzione del futuro liberando il continuum di uno stato e di un essere nella separazione non nell’assimilazione, nella distinzione non nell’inglobamento dell’uno nell’altra fino a perdere identità. Verbo al presente, dunque. Quando il verso ha il verbo al passato (prossimo, imperfetto), questo segna l’antefatto (peraltro già in L’antiriva del 2014) che conferma lo stato presente. Il continuum stilistico darà affermazione e ricerca, espressione che fissa e, contemporaneamente, dilata il pensiero, fino alla chiara forma conclusiva (dell’amore e della poesia).

Libro d’amore, che fonda sull’amore la nascita di un giorno aperto, di un mondo leggero, di un vivere nuovo, Il battente della felicità si presenta, nelle sue tre sezioni, come un libro a tema. Ribadisce il sentire amoroso nei suoi risvolti e nelle possibilità vissute, in primis, e tenute care dentro di sé: «Ti porterò con me / in ogni goccia di verità / a dissetare nuove certezze, / in ogni bocca che non temerà / le gabbie incolte della non-vita, / in ogni ventre che non reciderà / ancora la bellezza del seme. // Dammi le tue mani, / dita affusolate di pioggia / a inanellare di ghirlande / la cappella / di un fiore selvatico.» (p. 26). Che la vita cominci, allora, e che sia «non casa, ma dimora dei grovigli più veri». (p. 49)

 

Valeria Di Felice, Il battente della felicità, Giuliano Ladolfi Editore, 2019, pp. 68, € 10 (con disegni di Gigino Falconi)

Guarracinismi tra antico e odierno

“Scrivere significa dare testimonianza”

A proposito dell’ultimo libro di Francesco Belluomini, Nonostante tutto, contenente 10 poemetti dedicati ad Amici Poeti scomparsi, curato da Marco Ciaurro (I delfini Book, 2019)

“Scrivere significa dare testimonianza. La memoria ha un ruolo fondamentale nella vita ed io non mi sono improvvisato poeta e scrittore; piuttosto, sono stato chiamato, come dire, obbligato ad offrire la mia testimonianza, diretta o indiretta. Ad ogni edizione del “Premio di Camaiore” arrivano numerosissime opere da esaminare e spesso e con rammarico mi accorgo della mancanza di idee, dettata purtroppo dalla poca fantasia. Le persone sono invecchiate prima del tempo; al contrario, a me personalmente servirebbe una seconda vita per pubblicare tutto ciò che penso. Oggi mancano le idee! Proprio nel rispetto della memoria, nella mia vita ho realizzato libri dedicati a tanti grandissimi scrittori, per farli rivivere attraverso i ricordi. Riesco a dialogare con loro, come se fossero vivi e questo è straordinario.” (dall’intervista  di Daniela Cecchini, su “Il Corriere del Sud”, febbraio 2016)

 

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Pulcinoelefante, la casa editrice più piccola del mondo

 

All’interno delle anonime mura di una casa situate ad Osnago, nel lecchese, disposte su due livelli con tanto di pollaio retrostante, si nasconde un tesoro di pace intellettuale e di genuina accoglienza, di cui artisti di ogni sorta da poeti a pittori beneficiano, eleggendolo a luogo di vera e propria devozione: è qui, in questo luogo, diventato ben presto mitico, che è nata e prospera il Pulcinoelefante, la casa editrice più piccola del mondo.

Un’esperienza antropologica, più che editoriale”, si schermisce Alberto Casiraghi, classe 1952, un moderno Gutenberg, che da tipografo s’è trasformato in editore e ha dato vita qui nella sua casa a qualcosa di unico, a un’impresa etica (editoria, è parola troppo grossa), fatta di cose antiche (l’inchiostro, i caratteri mobili, un vecchio macchinario anni ’40, la carta, pazienza e tanto, tanto amore per ciò che fa e in cui crede): per creare oggetti di intenso godimento estetico, un’arte alla portata di tutti,  nel segno di una stimolazione della creatività, propria e altrui, attraverso gli incontri con gli autori più diversi, da Allen Ginsberg a Maurizio Cattelan, da Sebastiano Vassalli a Fernanda Pivano, per non dire della grande Alda Merini, l’autentica icona della Casa Editrice.

 

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La vacanza per ricaricarsi, tra monasteri e eremi

 

Telefonini spenti, niente computer, niente Facebook solo silenzio. Le vacanze spirituali sono una vera e propria soluzione per riacquistare energie fisiche e mentali.

Si tratta di itinerari sempre più richiesti da single, coppie, gruppi religiosi e laici. Eremi e monasteri ce ne sono tanti in Campania, negli incantevoli paesaggi dagli Appennini alla costiera sorrentina, dove poter andare a scoprire ‘che l’essenzialità è  la chiave  di lettura della vita per acquistare la serenità’’, afferma  frate ‘guardiano’  Gennaro uno dei tanti padri spirituali  di questi luoghi magici.

Tra i posti più ‘gettonati’ in Campania sono da segnalare: a  Piedimonte Matese (Caserta) sul monte Muto, il monastero Santa Maria Occorrevole che dal 1981 è sede di Noviziato a carattere interprovinciale. L’austerità del luogo, lo stile semplice, proprio della regola francescana, rendono l’ambiente particolarmente suggestivo ed invitano alla preghiera e alla riflessione. E’ il luogo ideale per gruppi parrocchiali che intendono trascorrere nel silenzio e senza distrazione turistica.

“Peccato che attendiamo che si facciano dei lavori alla nostra struttura colpita dal terremoto e la Soprintendenza di Caserta ha bocciato il progetto e non possiamo per ora più accogliere la notte i nostri ospiti”, aggiunge padre Gennaro a telefono.

Sempre nel casertano c’è il convento – santuario Maria SS dei Lattani ‘Regina Mundi’ a Roccamonfina altro luogo spirituale molto accogliente come il convento di Teano o l’eremo di San Vitaliano a Casolla (Caserta). Ad Avellino un’altra meta  magica è il Santuario di Santa Maria Montevergine ad oltre mille metri di altezza.
Ci sono poche camere  bisogna mettersi in lista di attesa per prenotarsi soprattutto in questo periodo.

I pasti si consumano in un apposito refettorio riservato agli ospiti. Il Centro La Pace di Benevento, invece, presso la contrada monte della Guardia è ideale per l’accoglienza di: campi scuola, esercizi spirituali, convegni, incontri di formazione e orientamento. Situato a due chilometri da Benevento e a pochi chilometri da Pietrelcina, il Centro La Pace dispone di parcheggio per

Il convento san Francesco in Polvica – casa religiosa di Tramonti, (Salerno)  è una struttura luminosa, semplice ma accogliente, è circondata dal profumo dei giardini che sono abbelliti da fiori spontanei. La casa dispone di un ampio refettorio con cucina di tipo professionale, di un chiostro, di un piccolo teatro, di sale per riunioni ed incontri, e una cappellina. Il chiostro, costruito nel 1700, è stato ultimamente restituito alla originaria linea architettonica.

La foresteria del monastero sulla collina a San Paolo di Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli) a pochi passi da Sorrento e da Positano è ideale per fare esercizi spirituali, esperienze di vita monastica, incontri di preghiera, ricerca vocazionale. Il complesso dispone di alcune stanze per accogliere gruppi di preghiera che singole persone. Dispone inoltre di una piccola biblioteca e sala di lettura, piccola cucina e si consiglia di provare le marmellate artigianali locali.

(By Leonardo Pietro Moliterni – 28 Luglio 2019)

 

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LA CULTURA TI FA MANGIARE!

 

Sabato 10 agosto, presso il Rifugio Cervati, in località Chianolle del Comune di Piaggine (Salerno), si svolgerà il terzo appuntamento di “Rifugi di cultura ” organizzato dal CAI Club Alpino Italiano e dagli infaticabili Andrea Scagano e Enzo Di Gironimo.
Insieme al Rifugio Cervati si inaugurerà la biblioteca più alta della Campania e sarà offerto un sano piatto di pasta e patate a chi donerà un libro per allestirvi la Biblioteca CAI più alta della Campania.

 

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INFINITI, INFINITO…  Gli infiniti – “L’aveva davvero visto, oltre la siepe, / un balenio dietro alle ciglia/o forse una lepre tra i cespugli,/qualcosa in fuga verso l’orizzonte?/O aveva soltanto intuito, /seduto al tavolo o affacciato al balcone, /la fuga incessante delle prospettive, /le ombre che scivolano alle nostre spalle/armate di chiodi e uncini /e le memorie che sfumano nel vago –/o che una mano inesorabile /non vista preda?”Mauro Ferrari, inedita

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

Guarracinismi tra antico e odierno

FARSI MONDO

“Le mitologie nazionalistiche non possono produrre, in Europa, che egoistiche chiusure identitarie, vuote retoriche, se non miserabili razzismi. Testimonianza di null’altro che dell’impotenza ad affrontare le trasformazioni del proprio ambiente. I miti europei sono soltanto quelli del viaggio, della scoperta, della curiosità per l’altro spinta magari fino al naufragio. Ma non sono miti , ecco il punto. Sono grandi opere dello spirito, della critica, della ragione. Sono creazioni, artifici . Non definiscono né radici, né confini, né dimore dove poter essere “in pace”. La loro Europa è una Patria che fugge . Non si sa dove inizi, né dove finisca. È suo destino il farsi mondo. Come una strada che si compia propria nell’andare, nulla di predeterminato o precisamente predeterminabile. Pericle si rivolgeva ai suoi concittadini ateniesi incitandoli a ritenere Patria le loro navi.”

Massimo CACCIARI

 

 

 

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IN VIAGGIO

Non era un viaggiatore “ariostesco”, Piero Chiara (Luino, 1913-Varese 1986). Viaggiava davvero per professione, da giornalista, non su atlanti e mappamondi in compagna di Tolomeo. Ne è una conferma questa raccolta di scritti, In viaggio, da poco usciti presso l’Editore Aragno, in cui si condensano anni e anni di collaborazione a quotidiani e riviste, dal 1948 all’’86, con resoconti “a caldo” ma ricchi sempre di luminibus ingenii, da molte parti del mondo, principalmente dall’amata Spagna. Nell’introduzione, Federico Roncoroni, che di Chiara era stato in vita collaboratore e amico e che ora continua, “fedele alle amicizie”, a trasmettere agli altri ciò che del Maestro di Luino resta ancora vitale, ossia gli scritti, parla di una pulsione a viaggiare, sulla spinta dei motivi più diversi, ma soprattutto di una nobile e inesausta curiositas, per scoprire che “la realtà ai suoi occhi era superiore ai sogni”.

 

PER PREMI – La giuria del VII Premio Letterario “Paolo Prestigiacomo” San Mauro Castelverde composta da Gabriella Sica (presidente), Roberto Deideir e Maria Attanasio, ha decretato Vincitori ex aequo Tiziano Broggiato (con “Novilunio”, Edizioni LietoColle) e Giuseppe Grattacaso (con “Il mondo che farà”, Edizioni Elliot); la stessa giuria ha poi assegnato due Menzioni Speciali: ad Antonio Lanza per il libro “Suite Etnapolis”, edito da Interlinea, e a Maria Pia Quintavalla per “Quinta Vez”, edizioni Stampa 2009.
Organizzato dal Comune di San Mauro Castelverde (PA), il Premio sarà consegnato in Piazza Municipio, sabato 3 agosto.

 

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DA LEGGERE

Su Hypnerotomachia Ulixis di Sonia Caporossi

“Amo, quindi sogno” (Sonia Caporossi). Il sogno esprime un possibile percorso dell’essere per attraversare la pulsione erotica come ricerca d’amore. L’incontro con la propria proiezione narcisistica può essere espresso per mezzo di un altro. Che magari “vive” attraverso un corpo-sesso diverso dal proprio, in quanto ciò risulta funzionale con il desiderio proiettivo. Questo altro può incarnare il personaggio che  “trasfigura”, nella narrazione di un testo, la propria pulsione erotica. Il corpo-testo tende ad essere una imprevedibile creazione: vuole essere scritto dal desiderio del suo autore attraverso le parole stesse. Come scrive Roland Barthes: “Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita sulla punta delle mie parole”.

Nel Manifesto della Pulsione, mio testo pubblicato su ‘Critica Impura’ (20 febbraio 2019), scrivevo che una narrazione pulsionale vuole “vivere” in un testo aperto agli sconfinamenti. In questo i generi della scrittura convivono naturalmente, colloquiando fra di loro per costituire un unico testo. Che può divenire voce e corporeità della scrittura stessa, narrandone le interne pulsioni del desiderio e della psiche. I molteplici frammenti di narrazione diventano una “storia” dell’autore alla ricerca dei propri archetipi erotici.

Questa premessa serve per introdurre un mio attraversamento del “romanzo onirico” di Sonia Caporossi Hypnerotomachia Ulixis (Carteggi Letterari, 2019). Definire questo libro un romanzo risulta una “maschera” della scrittura, in quanto lo scorrere di lettura ne evidenzia la complessità, leggibile nei suoi frammenti testuali: ben strutturati e rielaborati nella loro specifica significanza. Questi volutamente “si perdono” nel magmatico dettato dell’autrice, che indica, attraverso un “viaggio di Ulisse”, l’esistenza di un proprio esplicito itinerario-progetto tematico. Che si snoda in un monologo di sette capitoli, percorrendo aree letterarie differenti. L’autrice esprime, infatti, questo suo percorso anche attraverso la conoscenza filosofica, che dialoga con la narrazione per “svelarsi” talvolta frammento di poesia.”

Vitaldo CONTE

 

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MEDITERRANEO, IL GIARDINO DEGLI ABBRACCI – “Tutte dovremmo scoprirle le strade /che portano all’ incontro con le porte /e ad ogni bivio schiudono alla luce //Qualcuno ostenta proprie differenze,/raccolte nella polvere dei luoghi /dell’abbandono delle intelligenze. //E ci vorranno scope e strofinacci /per una pulitura a fondo e canti /a rendere le stanze più accoglienti //con vista sul giardino degli abbracci /verso un mare rotondo che confonda /albe e tramonti, spazi e le frontiere.” Gianfranco ISETTA, 26 giugno 2019

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

 

Guarracinismi tra antico e odierno

PENSANDO A NAPOLI (PER RICORDARE LUCIANO DE CRESCENZO) – “Napoli mi manca sempre tanto e mi manca anche quando sono a Napoli. Napoli è più forte dei suoi abitanti, può cadere ma si rialza sempre. In questo mondo in cui il progresso sembra prendere il sopravvento su tutto, in cui le città sono sempre più simili le une alle altre, Napoli è l’unico luogo che riesce a mantenere intatta la propria identità.
Una copia di Napoli non potrà mai esistere, per questo è l’ultima speranza che abbiamo”.

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Sulla “Società del pieno” – “Confine spostato calcolato confuso / Limite /despoti  inesperti / poeti incapaci / beati in fretta e furia conclamati / neppure loro sanno: / bontà impolverata sperduta / tra strade case di città inospitali / fruga ignorata derisa / tra scarti di cucina / piange.//Si sfamerebbero tutti. / Bello sarebbe assumere la colpa./ Carità malaticcia dissoda / terra  troppo secca / sentire / sviato dalla mente / tratto di matita sottolinea l’errore / fa di conto./ Esempio di pochi / quasi zero nella ingorda / civiltà del pieno.” (Fausta Squatriti, Olio santo, 2010-2016, con prefazione di Mariella De Santis, NewPress 2017)

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IL PIETROSO FINITO – “Sul destino da riservare ai celesti / oltre il pietroso finito della terra / non c’è intesa tra gli umani / nell’atto di sottrarsi all’apparenza / né si placa tra i divini la contesa / per bandire il vuoto del giardino” (FLAVIO ERMINI, Edeniche, Moretti&Vitali 2019)

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DOMENICHE PERICOLOSE – Molto ha scritto e fatto scrivere, Giovanni Lischio, prima di approdare presso un editore come Macchione di Varese a questo giallo bipartito, Le domeniche pericolose. Le coppie, specialmente, che conclude una trilogia iniziata qualche anno addietro, nel ’13, con Il lato maggiore e proseguita nel ’15 Finché morte…(mentre nel cassetto un altro ancora aspetta, forse il più interessante, La ragazza col cane in spalla). Senza contare acrostici, aforismi, i “giochi” di parole (penso a una serie godibilissima di “ritratti” di animali in versi, anche questa ancora inedita e intitolata “Dalla a alla zebra”). Dicevo fatto scrivere, perché Giovanni è uno che, per una vita intera spesa nella scuola, pubblica e privata (per molti anni, ha insegnato anche al Gallio), lo stipendio se l’è guadagnato “divertendosi” con le legioni di studenti affidati alle sue cure, insegnando loro a scrivere, a creare, a essere insomma se stessi.

Ma come c’è di così singolare nel libro, Le domeniche pericolose. Le coppie, specialmente, da prestarsi per parlare dell’autore? Ci sono due problemi di stringente attualità, qui sul lago, da noi, ma anche altrove: c’è il mondo delle badanti, provenienti dall’est, con la loro difficile integrazione, nel primo, e le infiltrazioni mafiose nel Comasco, nel secondo, il tutto su uno scenario apparentemente placido e incantato, un piccolo mondo di ordinaria quotidianità, quale è il lago nel versante che dal Triangolo Lariano guarda Lecco e propriamente i paesi di Onno-Limonta-Oliveto.

È proprio qui che Lischio va ambientando ormai da tempo le sue storie, indagando e scovando, attraverso l’acume di un giornalista-detective particolare, Lorenzo Melori, i lati più oscuri della vita (e della psiche) dei suoi abitanti: storie ambigue e inquietanti, vicende di personaggi apparentemente comuni, vittime di azioni a volte inspiegabili se non con raptus di follia.

Scrittore in versi e in prosa, dunque, uno che ha attraversato e sperimentato molti linguaggi, restando sostanzialmente candido, “fanciullino”, con la capacità di giocare con le parole, di investirsi nel sapere degli altri, Giovanni Lischio: uno che, in virtù anche di una vita spesa nel grande arengo della scuola, l’avrebbero definito polytropon (nel latino di Andronico, versutum, dalle molteplici applicazioni e competenze). Versatile, insomma: narratore, comunicatore e soprattutto poeta, nel suo senso più ampio di creatore di linguaggio e capace di dialogare con semplicità e candore con giovani e meno giovani.

Uno che letteralmente “molto ha conosciuto”, attraversando e praticando innumerevoli territori, con la mente e col cuore, sfidando con la scrittura luoghi comuni e pregiudizi, sempre fedele a una propria riconoscibile cifra esistenziale e intellettuale, che si può pressappoco riassumere e condensare così, una visione della vita generosa e aperta a una intelligenza delle cose senza illusioni, per sé e per gli altri.

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

Guarracinismi tra antico e odierno

UN OMAGGIO AD ANDREA CAMILLERI  – “Ha compiuto il prodigio di essere nel contempo uno scrittore autenticamente popolare, un artista vero e l’ultimo intellettuale, capace di parlare non solo di letteratura, ma del mondo, l’unico sopravvissuto dopo la morte di Sciascia e di Pasolini. E una cosa purtroppo è certa: con lui muore una possibilità di essere scrittori e intellettuali insieme, con lui il Novecento è davvero finito” (ROMANO LUPERINI, Per Camilleri, intellettuale militante, su Laletteraturaenoi)

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Ancora un omaggio ad Andrea Camilleri – “La cecità mi risparmia di vedere la mia faccia”, diceva Camilleri in “Tiresia”. Negli occhi di un cieco, che sia di Chio o di Porto Empedocle, è scolpito il futuro. Parola di Alberto Granese, storico ordinario dell’Università di Salerno

 

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Il prof cilentano di latino e greco di Andrea Camilleri – Il professore di latino e greco di Andrea Camilleri, al liceo classico Empedocle di Agrigento, era un cilentano. Si chiamava Antonio De Marino: io l’ho conosciuto e frequentato. Era nato a Castelnuovo Cilento il 26 marzo 1915. Primogenito di una famiglia benestante, grazie ai sacrifici del padre – emigrato negli Stati Uniti e dal quale riceve un’educazione moderna e democratica, attenta ai problemi sociali e politici – studia al liceo di Vallo della Lucania e poi all’Università di Napoli, laureandosi il 24 novembre del 1939. Fa domanda di insegnamento e viene destinato al Liceo classico Empedocle di Agrigento per insegnare latino e greco. Tra gli allievi di allora c’è anche un giovane promettente che viene dalla provincia, Porto Empedocle, dove è nato nel 1925. Andrea Camilleri, dopo una breve esperienza in collegio, si iscrive al Liceo Empedocle e grazie all’insegnamento, tra gli altri, del professore De Marino, nel 1943 consegue la maturità classica. In seguito il professor De Marino scopre con gioia quasi paterna che quel suo alunno è diventato uno scrittore, che, con i suoi libri, parla non solo all’Italia, ma al mondo. Con Camilleri e con altri alunni negli anni successivi De Marino intrattiene una lunga corrispondenza – come assicura la figlia, Elvira, direttrice del Reparto di Oncologia dell’ospedale di Vercelli e nota conferenziera. Comunista, Antonio De Marino collabora con diverse testate e scrive articoli di denunzia sociale e politica, schierandosi dalla parte degli ultimi, contro i sindaci democristiani e i padroni. Memorabile un suo articolo del 1946 sulla testata comunista «Il Gallo» intitolato Castelnuovo Cilento: feudalità e miseria. Muore a Napoli il 16 luglio 2006 ed è sepolto nel cimitero di Castelnuovo Cilento.

(ringrazio l’autore dell’articolo, lo scrittore e giornalista GIUSEPPE GALZERANO, che mi ha concesso di poter utilizzare il suo articolo, comparso sul quotidiano di Salerno La città)

 

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Su questo mare schiacciato da bonacce / galleggiano ingavonate sulla dritta / le snelle navi che sfidavano i venti / con braccia e mani salde sul timone. / Barche a tòrzo lasciate alla deriva / senza più vele, senz’alberi maestri, / vuoti scafi protetti dal fasciame / per scarrocciare a lungo in naufragio” (FRANCESCO BELLUOMINI, Ultima vela, Samuele Editore 2018).

 

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Ancora su LIMESLimes è, certo, etimologicamente, nell’osco, un “limite”, un “confine”, ma è anche un luogo, un segno, un “bordo”, da cui ci sporge, avanti o indietro: una possibilità da cui porsi domande e muovere passi. Una situazione dunque quanto mai delicata e importante: si può restare indifferenti a ciò, a meno di non voler resta in limo, nel fango dell’indifferenza e dell’ignavia?

 

Vincenzo GUARRACINO, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como.

Ha pubblicato, in poesia, le raccolte Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Una visione elementare (2005); Nel nome del Padre (2008); Ballate di attese e di nulla (2010).

Per la saggistica, ha pubblicato Guida alla lettura di Verga (1986), Guida alla lettura di Leopardi (1987 e 1998) e le edizioni critiche di opere di Giovanni Verga (I Malavoglia, 1989, Mastro-don Gesualdo, 1990, Novelle, 1991) e di Giacomo Leopardi (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998).

Oltre ciò, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte (1993 e 1998), e l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005.

Ha inoltre curato il carteggio Leopardi-Ranieri (Addio, anima mia, 2003), il romanzo di Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata (2006), le novelle milanesi di Verga Per le vie, 2008, Libro delle preghiere muliebri di Vittorio Imbriani (2009) e Amori di Carlo Dossi (2010).

Ha curato le traduzioni dei Lirici greci (1991 e 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A.Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006) e l’antologia Poeti Latini cristiani dei primi secoli (2017).

Lucia TRIOLO, Dedica, Edizioni DrawUp, 2019

Ogni volta che Lucia Triolo mette mano alla penna è come se scrivesse sempre per la prima volta apprendendo logopedicamente il prodigio di essere nel compito estremo della parola: nella sua precisione e nel rischio di una mancanza di controllo, poiché conscio e inconscio, come ci insegna la psicanalisi a più riprese, coabitano nel verbo, ma proprio il rischio aumenta la chiamata alla salvezza. (…)Nell’affanno che si coglie troviamo due poli che lo simboleggiano: il femminile – da sempre il tema profondo della poetessa – e la sicilianità declinata in quella vocazione alla giustizia non legata grecamente alla verità. L’impegno alla parola dischiude orizzonti differenti che s’incistano tra di loro determinando l’impegno dell’io a inoltrarsi nel verbo, sapendo di non poter mai coincidere con esso. Mi pare evidente la prospettiva fenomenologica che da un lato vede l’impossibilità di una relazione e dall’altro la esige così come il sale è necessario al fascino del mare anche se brucia le ferite e nel contempo le cauterizza.

(dalla prefazione di Giuseppe Cerbino)

 

Lucida follia

In punto di lucida follia

mentre stringo tra le mani

uno scheletrico io

e scarico una lacrima in latrina

riesco a dire esattamente

ciò che penso

 

inconcepibile come una gaffe

 

La mia parola

Non c’è scatto che non le appartenga

ho messo la parola

a lottare con la vita

a rabberciarla

come un tessuto vecchio lacero

sporco.

L’ho vista slogarsi per afferrarla

nel precipizio in cui l’io-sono non penetra

nella parola e testardo

non vuole essere-detto

ma nessuna fuga

può essere concessa

 

L’insolenza del silenzio

non cambia la circolazione:

in qualunque stagione a casa

ci si riposa

 

Litanie

Non ho tralasciato nulla

ho chiesto aiuto

rifugiata in antiche litanie

ho invocato i santi della sicurezza

ho invocato i santi della mediocrità

ho invocato i santi dell’infingardaggine

quelli della fatica e del dolore

e del peccato e della miseria.

E poi i santi del vuoto e del nome

Ho trovato una caramella

tra macerie

l’ho scartata

insaziabile

zanzara

ronzava

dentro le litanie

la gioia sembra non

abbia santi né tabernacoli

-questione di profondità

credo

 

Scrivo

Scrivo a rovescio sulla pelle

vivo a rovescio questa vita

come chi non ha più carne

da redimere

tengo le ossa sotto

i passi

lo spirito fa ancora rumore

 

una persiana sbatte sbatte

mi fa arrossire

 

© Lucia Triolo

Lucia Triolo è nata e vive a Palermo, nella cui Università ha insegnato Filosofia del diritto. Ha pubblicato per la G.A Edizioni: “L’oltre me” (Maggio 2016), per le Edizioni il Fiorino: “Il tempo dell’attesa” (Maggio 2017), per La Ruota Edizioni: “E dietro le spalle gli occhi” (Febbraio 2018), per BIbliotheke Edizioni: “Metafisiche Rallentate” (Ottobre 2018). per DrawUp Edizioni: “Dedica” (Aprile 2019), ancora per La Ruota Edizioni: “Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola” (Maggio 2019). È presente in numerose antologie. Tra i numerosi riconoscimenti, premio Amelia Rosselli al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Città di Conza della Campania 2018 e terza classificata al XIX Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa Guido Gozzano ed. 2018.

François Nédel Atèrre, Limite del vero, La vita felice, 2019

C’è molta descrizione di attimi, talvolta pare di assistere a un ragionamento anagogico: Littera gesta docet, quid credas allegoria. Moralis quid agas, quo tendas anagogia. Un senso morale straniante e quasi di accompagnamento, un indicare senza premere sulla ferita che le cose mostrano. Non credo di esagerare se dico che ci sono momenti di scrittura sinestetica.

(dalla postfazione di Giulio Maffii)   

 

 

Poi si va avanti, il tempo di ciascuno

è frammentario – a volte non sussiste.

Chi allegramente scompare, sparpaglia

cocci di sale nel piato degli altri

e fa del bene avaro. Per discese

chi crede di aver cuore pianta i piedi

e regge stanghe di carri pesanti

– ignora i loro gomiti, l’azzurro.

Non ha risposte il sole di novembre:

raccolti i vòlti, ripresi per caso

fili smagliati, intenzioni e parole

rinnega tutto, si consegna al freddo.

 

Invita a fare da soli, in silenzio.

 

*

 

Le strane formule stanno migrando

dal nudo vero. Silenziose, stanche

si poggiano sui cavi della luce

– ma è il cielo a darne, ed è arguto regalo.

Fanno brevissimi cenni col capo.

 

Stentano a riconoscerle figure

di uomini e donne strette nei cappotti,

dal passo svelto. La neve cancella

le vie che portano al lavoro o a casa.

 

La meraviglia si fa innanzi a pochi.

 

*

 

Era quel tempo – non si conta in anni

quando stavamo con loro. I giardini,

le case nuove, i viali nella luce.

 

Ciascuno il suo prodigio, a ogni sentiero

un salto d’acqua, una baracca vuota.

Era quanto bastava, non di meno.

 

Si è sciolto sui mattoni quell’autunno

o sulle pagine aperte dei libri:

poco di bianco, estraneo, sale in grani

le tue sembianze qui, il mio corpo vano

seduto sulle scale, com’è adesso.

 

François Nédel Atèrre (pseudonimo di Francesco Terraccia­no) è nato a Napoli, dove vive e lavora, nel 1967. È laureato in Economia e Commercio. La letteratura, contrappunto alla formazione universitaria e professionale, è costantemente al centro dei suoi interessi: lo studio della poesia europea – del modello italiano, inglese e francese così come delle significative testimonianze russe del Novecento – ha motivato la sua partecipazione a numerose iniziative, mantenendo vivo il contatto con una realtà complessa e in continua evoluzione. Ha pubblicato una raccolta di poesie, Phonè (1992) e un volume di racconti, Il Salice Bianco (1993), entrambi con lo pseudonimo di Francesco Miti. Numerose le sue collaborazioni con riviste letterarie e le partecipazioni a progetti editoriali, rassegne e seminari.  Del 2018 è la raccolta poetica “Mistica del quotidiano”, Terra d’Ulivi edizioni. Le sue poesie sono state tradotte in romeno e inglese.

Alina RIZZI – Tre inediti

Nell’ora nona
calavano le ombre del giorno
si protraeva
il lavorio instancabile delle ipotesi
sotto maschere adunche
che tornavano
dopo l’assoluzione del sonno
e si disponevano
devote a riti oscuri
all’eterno mormorio sommerso.

*

Decise di ritrarsi
dai giorni liquefatti
dalle figure pensanti
che sfiancavano le notti
spalancate sul vuoto
e il silenzio più estremo.
Decise di tornare
ma rivestita di pelle
per riconoscersi ancora
in quel malore stantio
che spezzava quieto
le linee del volto.

*

Dalla cima degli anni osserva
incredula e già pentita
viandanti che non sono più tornati
da cui attendeva improbabile
un cenno d’assenso.
Ciò nonostante ora va delineando
una perfezione di gesti
oltre il rito usurato
di movimenti essenziali
liberati dal silenzio.

© Alina Rizzi

Alina Rizzi è nata a Erba (CO). Giornalista e scrittrice, si dedica da sempre a realizzare iniziative rivolte alla valorizzazione del mondo femminile. Ha vinto premi letterari e partecipato a diverse antologie, tra cui quella americana LA DOLCE VITA (Running Press). Ha pubblicato AMARE LEON da cui il regista Tinto Brass ha tratto il film “Monamour”, i romanzi PASSIONE SOSPESA e DONNE DI CUORI, COME BOVARY e SCRIVIMI D’AMORE . La drammaturgia in versi NATASCHA E IL LUPO nell’antologia IO E L’ALTRA, i volumi di racconti BAMBINO MIO e PELLE DI DONNA . In versi: ROSSOFUOCO, IL FRUTTO SILLABATO, LA DANZA MATTA , ARITMIE, e diverse plaquette. Il suo blog è costruzionivariabili.blogspot.it

 

 

 

Mattia TARANTINO, Fiori estinti, Terra d’ulivi Edizioni, 2019

L’urgenza del verso risponde ad un’altra urgenza: la perpetua ricerca di assoluzione, il grido scomposto e liberatorio che non può darsi nella preghiera intesa come atto pretenzioso che prevede risposta, bensì nella confessione, affinché «avvenga / la resa del cielo al nostro ultimo altare». L’indagine tentata dal verbo attraverso la costruzione di un codice esclusivo e archetipico non risolve l’infinita nostalgia di un aldilà senza nome, il tragico dissidio della memoria, poiché non c’è «nulla che non sia un vago e memorabile martirio».

(dalla postfazione di Giorgia Esposito)

 

Dal sale

 

Poiché venimmo

dal sale nero avvinghiato

alle stelle, e le stelle

sudano una luce malata;

poiché fummo

battezzati con le feci

degli angeli, e gli angeli

non ci davano nome;

poiché tradimmo

e usurammo ogni verso, ora

ci strappiamo le ossa e ridiamo.

 

 

I poeti

 

Siamo allegri se spezziamo le stelle,

se scaviamo nel pane tornando

al frumento, perché ogni

verso è sporco di terra.

 

I poeti esistono nel vino,

nel sangue e nelle sillabe: hanno ossa

di uva, e i bambini le pestano.

 

Quando venni al mondo ordinai

ai tuoni di scheggiarsi al mio urlo;

ora imploro

che almeno un chicco si salvi.

 

 

Autunno

 

È da un po’ che le foglie sono incerte,

che il cielo non sprofonda

nelle loro vene scure, dove il sangue

aggrovigliato gira e cade.

 

Stamattina un passero di ronda

annunciava la catastrofe cantando.

 

 

Vigilia d’inverno

 

Ho offerto i miei voti all’inverno,

alla rosa sbaragliata da una neve

che non cade, non vacilla, ma soltanto

che attendiamo e ci rinnega.

 

Da domani i bambini torneranno

a inventare nuove storie e nuovi fiori.

 

 

Distico

 

Cerco un distico che chiuda

i miei versi o li sbaragli.

 

 

Vorrei guardare il cielo

 

Vorrei guardare il cielo, ma le stelle

mi aprono il sangue e disturbano

i versi in bocca ai morti:

stanotte mia madre non partecipa

al pane che si spezza, non consente

né risate né preghiere, capovolge

tutti i nomi e li scavalca;

stanotte mio padre non ricorda

quante volte ha indovinato, quante volte

la parola gli ha mozzato la parola.

Stanotte prendo l’ago e cucio

i miei occhi agli occhi di mia madre, prendo

un piccolo coltello e svuoto

le mie ossa nelle ossa di mio padre.

Vorrei guardare il cielo, ma le stelle

le ho tra i denti e fanno male.

 

Mattia Tarantino è nato a Napoli nel 2001. Co-dirige Inverso – Giornale di poesia; ; collabora come traduttore con Iris News – Rivista internazionale di poesia. Fa parte della redazione di Menabò – Quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria e di Bibbia d’Asfalto – Poesia urbana e autostradale. È presente in diverse riviste e antologie, italiane e internazionali. I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue. Ha pubblicato Tra l’angelo e la sillaba (Terra d’ulivi, 2017) e Fiori estinti (Terra d’ulivi, 2019).